Diorama

Mensile di attualità culturali e metapolitiche diretto da Marco Tarchi

  • Home
  • Diorama
    • Abbonamenti
    • Indici della rivista 1976-2015
    • Breve storia di un’ambizione
    • Editoriale
    • Diorama Letterario
      • Diorama Letterario 336
      • Diorama Letterario 334
      • Diorama Letterario 333
      • Diorama Letterario 332
      • Diorama Letterario 331
      • Diorama Letterario n. 330
      • Diorama Letterario n 329
      • Diorama Letterario n 328
      • Diorama Letterario n. 327
      • Diorama Letterario n. 326
      • Diorama letterario n. 325
      • Diorama letterario 324
      • Diorama letterario 323
    • Diorama – Archivio 2014
      • Diorama Letterario n 322
      • Diorama letterario n 321
      • Diorama Letterario n 320
      • Diorama 319
      • Diorama 318
      • DIORAMA LETTERARIO 317
    • Diorama – Archivio 2013
      • DIORAMA LETTERARIO 316
      • Diorama Letterario 312
      • DIORAMA LETTERARIO 311
    • Diorama – Archivio 2011
      • Diorama Letterario 305
      • Diorama Letterario 304
      • Diorama Letterario 303
      • Diorama Letterario 302
      • Diorama Letterario 301
    • Diorama – Archivio 2010
      • Diorama Letterario 300
      • Diorama Letterario 299
      • Diorama Letterario 298
      • Diorama Letterario 297
    • Diorama – Archivio 2009
      • Diorama Letterario 296
      • Diorama Letterario 295
      • Diorama Letterario 294
      • Diorama Letterario 293
    • Diorama – Archivio 2008
      • Diorama Letterario 290
      • Diorama letterario 286
    • Diorama – Archivio 2007
      • Il capitalismo liberale contro la sovranità popolare
      • Diorama Letterario 284
      • Diorama Letterario 283
    • Diorama – Archivio 2006
      • Diorama letterario 280
    • Diorama – Archivio 2002
      • Diorama Letterario 253
      • Diorama Letterario 252
    • Archivio DL 1991 – 2000
      • Diorama Letterario 220
      • Diorama Letterario 219
      • Diorama Letterario 216
      • Diorama Letterario 208
      • Diorama Letterario 207
    • Archivio Diorama Letterario
      • Numero 218 (ottobre 1998)
      • Numero 217 (settembre 1998)
      • Numero 215 (giugno 1998)
      • Il numero 214 (maggio 1998)
      • Numero 213 (Aprile 1998)
      • Il numero 212 (marzo 1998)
      • Il numero 211 (febbraio 1998)
      • Il numero 210 (gennaio 1998)
  • Trasgressioni
    • Indici di “Trasgressioni” (1986 – 2014)
    • Trasgressioni 2011
      • Trasgressioni
      • Trasgressioni 53
      • Trasgressioni 52
      • Trasgressioni 51
    • Trasgressioni 2010
      • Trasgressioni 50
    • Trasgressioni 2009
      • Trasgressioni 49
    • Trasgressioni 2008
    • Trasgressioni 2007
      • Trasgressioni 45
    • Trasgressioni 1998
      • Trasgressioni 26
  • La Roccia di Erec
    • Idee
      • L’ascesa del neopopulismo in Europa
      • Gli scenari internazionali del XXI secolo
      • La sinistra e i suoi (doppi) vincoli
      • Di destra? No, grazie
      • Critica della ragione economica
      • Né disprezzo, né rimpianti
      • Rifondatore della destra?
      • Antonio Gramsci, dal liberalismo al “comunismo critico”
      • Le idee di Alain de Benoist nel dibattito italiano
    • Interviste
      • La Roccia di Erec – Interviste – Parte 1
        • Intervista
        • Il Tempo intervista Marco Tarchi.
        • Fra populismi e crisi del neoliberismo, dove va la destra?
        • ETICA VS POLITICA. ESERCIZI DI MACHIAVELLISMO NELL’ERA GLOBALE.
        • Il Centro studi l’Insorgente incontra Marco Tarchi.
        • Noi cani sciolti siamo fuori dalla rissa per l’osso del rinnovamento. Parla Marco Tarchi .
        • David Allegranti intervista Marco Tarchi per il “Corriere Fiorentino”.
      • Roccia di Erec – Interviste – Parte 2
        • Marco Tarchi risponde sul populismo sulle pagine del Fatto quotidiano
        • La destra: un deserto che cresce
        • Destra, Lega e populismo
        • Il PdL: tutto e il contrario di tutto
        • L’Europa resta vassallo degli Usa di Obama
        • Con il PdL An svolta a destra
        • Alain de Benoist risponde…
    • Archivio 2008
    • Archivio 2007
      • L’ascesa del neopopulismo in Europa
      • Gli scenari internazionali del XXI secolo
      • La sinistra e i suoi (doppi) vincoli
      • Di destra? No, grazie
      • Critica della ragione economica
      • Né disprezzo, né rimpianti
      • Rifondatore della destra?
      • Antonio Gramsci, dal liberalismo al “comunismo critico”
      • Le idee di Alain de Benoist nel dibattito italiano
    • Libreria
      • Libreria
        • Offerta di libri da Diorama letterario 302
        • Nuova offerta libri Vallecchi
      • Acquista Libri
    • Segnalazioni
      • La rivoluzione impossibile
    • Statuto
  • Acquista Libri
    • Libri
    • Riviste
  • Video
  • Audio
  • Contattaci

Articolo di Roberto Zavaglia

27 Settembre 2007 Redazione

Occorre aggiornare la celebre sentenza di Clausewitz: oggi la guerra non è più la continuazione della politica con altri mezzi, ma è parte della stessa politica, un evento “ordinario” allorquando l’azione diplomatica si riveli di non immediata soddisfazione. I rapporti tra gli Stati Uniti e i Paesi “dissenzienti” sono impostati sulla base di una permanente minaccia di attacco militare, anche se, o proprio per il motivo che la guerra è scomparsa dal lessico diplomatico, sostituita da espressioni come operazioni di polizia internazionale, peace enforcing e altri nuovi eufemismi.

  Il possibile bombardamento aereo dell’Iran, di cui si discute apertamente in Occidente, ne è la conferma. E’ stato uno dei maggiori esponenti dell’ “umanitarismo militare”, il ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner, a dichiarare che la guerra contro la Repubblica Islamica è un’eventualità all’ordine del giorno, anche se poi ha corretto il tiro. Le sue parole, comunque, hanno ribadito che per gli Stati i quali non accettano l’egemonia statunitense la pace è solo una condizione temporanea, interrompibile in qualsiasi momento. Alcuni giornali hanno rivelato i piani, già da tempo predisposti dall’Amministrazione Usa, dell’attacco all’Iran, mentre il raid aereo israeliano contro la Siria, improvvisamente accusata di volersi anch’essa impadronire dell’arma nucleare, fa pensare che pure Damasco potrebbe essere nel mirino. Insomma, tutto è pronto e il tipo di sanzioni adottate contro Teheran non esclude “pressioni” di intensità maggiore. Vari osservatori non si chiedono più se la guerra ci sarà, ma solo quando sarà scatenata, poiché tale possibilità è, appunto,  da ritenersi normale.

        

Dopo il disastro iracheno, chiunque rifletta con serenità di giudizio si stupisce nel pensare a una nuova avventura militare statunitense in Medio Oriente. Ma come, ci si chiede, mentre a Washington ci si accapiglia su come venire fuori dall’inferno che si è scatenato, si pensa già di aprire un nuovo fronte? La ragione suggerirebbe che si tratta di uno scenario impossibile, ma non è con ragionevolezza che gli ideologi del dominio planetario occidentalista pianificano le proprie mosse. L’Amministrazione Usa non pensa a una nuova invasione, ma pare convinta di risolvere la partita con i bombardamenti aerei, non più esclusivamente sui siti nucleari, come si pensava tempo fa, ma con un attacco contro 1.200 obiettivi per distruggere completamente la forza militare del nemico, secondo le più credibili rivelazioni giornalistiche. Dunque, bombardamenti di massa che – Bush e i suoi consiglieri dovrebbero ben immaginarlo-  provocheranno migliaia di vittime. Se lo immaginano, evidentemente, non se ne curano o, meglio, lo ritengono un “danno collaterale” accettabile.

  Anche la nuova guerra dovrà essere preparata e accompagnata da una massiccia propaganda, ancora più indispensabile dopo la catastrofe irachena. La stampa e soprattutto le televisioni statunitensi hanno, da qualche tempo, incominciato a propalare l’idea che ormai è impossibile fermare l’Iran nella sua corsa verso la bomba atomica e quindi occorre  –attenzione alla scelta delle parole- prevenire l’ “Olocausto nucleare” preparato dagli ayatollah. Il presidente Ahmadinejad, già dipinto come negazionista, si presta bene alla bisogna della suprema arma propagandistica: se non si interviene tempestivamente si assisterà a un nuovo genocidio degli ebrei, attuato, questa volta, per via nucleare contro Israele. La “reductio ad Hitlerum” di chiunque si opponga al dominio Usa serve, more solito, per rendere digeribile a un’opinione pubblica quantomeno perplessa la nuova guerra.

  Alcuni giorni or sono, il capo degli ispettori Onu sul nucleare, Mohamed El Baradei, ha dichiarato  che “l’Iran non rappresenta al momento un pericolo chiaro e immediato”, esprimendo l’auspicio che la lezione dell’Iraq, ingiustamente accusato di possedere armi di distruzione di massa, serva di monito a tutti. Condoleezza Rice –che gli stolidi schemi del giornalismo europeo insistono a identificare come una colomba, perpetuando il vieto modello secondo cui la politica Usa sarebbe la risultante del perenne scontro tra buoni e cattivi- lo ha pesantemente redarguito ricordandogli che la sua è solo “un’agenzia tecnica e il suo ruolo è di portare avanti le ispezioni e di fare rapporti”. Si tratta di un ottimo esempio di come non sia la realtà dei fatti a determinare la pace o la guerra, ma è la loro interpretazione, alla luce della volontà di potenza statunitense, a guidare gli avvenimenti.

  Anche se la sua possibilità è insita nel sistema imperialistico Usa, non è affatto detto, fortunatamente, che la guerra contro l’Iran diventi, a breve, una realtà. Giudicare il mondo odierno in modo eccessivamente schematico è sbagliato, perché gli automatismi, in una fase di crisi dell’ordine internazionale, possono incepparsi per più di una ragione. Non sappiamo, quindi, se l’Iran sarà risparmiato, ma siamo consapevoli che mai come oggi una sola potenza ha una straordinaria superiorità militare sulle altre. Da quando gli Usa si trovano in questa condizione non hanno fatto altro che approfittarne: Panama nel 1.989, Iraq nel 1.991, Somalia nel 1.993, Bosnia nel 1.995, Iraq nel 1.996, Afghanistan, Sudan e Iraq nel 1.998, Jugoslavia nel 1.999, Afghanistan nel 2.001, Iraq nel 2.003. Che si tratti di vere e proprie campagne militari o di più limitati attacchi aerei resta che l’opzione bellica rappresenta una delle scelte sempre disponibili per un Paese il quale sa bene di non rischiare di subire un contrattacco sul proprio territorio.

  Chi scatena una guerra dovrebbe preventivare quali siano le conseguenze anche in caso di vittoria sul campo, cosa che gli Usa non sembrano avere considerato nel caso iracheno. L’attacco contro l’Iran, di sicuro, porterebbe a un ulteriore forte aumento del prezzo del petrolio, innescando probabilmente una crisi economica mondiale la cui entità non è prevedibile. Sul piano bellico, oltre all’aumento dell’attività terroristica, l’Iran, come i suoi dirigenti hanno dichiarato, effettuerebbe una rappresaglia contro Israele per mezzo dei suoi missili balistici. A quel punto, l’escalation militare assumerebbe forse contorni tragici poiché Israele possiede l’arma atomica e potrebbe essere indotta a usarla in caso di un elevato numero di vittime fra la sua popolazione.

  Nel frattempo, in Occidente, nessuno prende in considerazione un’alternativa per il regime iraniano che non sia la resa ai voleri di Washington o l’aggressione militare. Come al solito, non si prova a comprendere l’ottica del diverso da sé che, in quanto tale, non può avere ragionevoli esigenze strategiche, sulle quali trattare, ma deve essere necessariamente un “folle”, come Ahmadinejad viene unanimemente definito nel discorso pubblico occidentale. Chiudere gli occhi ed effettuare un nuovo salto nel buio pare l’unica strategia delle cosiddette grandi democrazie.   

Rassegna Stampa

  • Home
  • Chi siamo
  • Rassegna Stampa
  • Newsletter
  • Contattaci

Copyright © 2023 — Diorama • Tutti i diritti riservati.

Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Se continui ad utilizzare questo sito noi assumiamo che tu ne sia felice.Ok