Diorama

Mensile di attualità culturali e metapolitiche diretto da Marco Tarchi

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Civismo e inciviltà

18 Luglio 2007 Redazione

 

OSSERVATORIO

    1. Civismo e "Inciviltà"

Di fronte alla crescita della delinquenza, la sinistra si é a lungo accontentata di bollare l’irrazionalità della "sensazione d’insicurezza". Oggi, essa comincia a riconoscere che, dinanzi a quell’insicurezza, i cittadini non sono nè liberi nè eguali. " L’insicurezza non é un’ossessione ", afferma il ministro degli interni francese Jean-Pierre Chevénement. " Un cittadino la cui sicurezza non é assicurata non può esercitare il suo diritto alla libertà -, aggiunge Lionel Jospin. Il problema é che oggi l’insicurezza non é più una questione di "sensazione", ma di fatti. Fra il gennaio e l’ottobre del 1997, le aggressioni a persone sono aumentate del 5,5% a Parigi. La delinquenza minorile ha fatto, l’anno prima, un balzo in avanti del 12,2%, le aggressioni su e contro i mezzi pubblici di trasporto, al di fuori della capitale, sono progredite in Francia del 37%, gli incendi di automobili del 74%. Da varie settimane, gli autisti dei bus effettuano astensioni dal lavoro per protestare contro le aggressioni di cui sono vittime. Violenze nelle scuole, conflitti tra bande rivali, distruzioni d’ogni genere, notti di sommossa, macchine bruciate, aggressioni, ogni tanto omicidi: le periferie e le "città" hanno un posto fisso nei titoli dei giornali francesi. Si parla di " bande etniche ", di "zone di non diritto", o di scene di guerriglia urbana. Certo, ancora non si é raggiunto il livello degli Stati Uniti, ma la strada porta lì. E gli abitanti della no mans land periferico-urbana cominciano ad averne più che abbastanza di passare con la paura in corpo giorni e notti.

Per spiegare la situazione, solitamente si fa ricorso alla coppia infernale immigrazione-disoccupazione.

I "giovani" di cui i giornali sgranano il rosario dei misfatti vengono in effetti spesso (ma non sempre) dagli ambienti dell’immigrazione. E non ci si può stupire che, in un paese in cui un giovane su quattro é escluso dal mercato del lavoro, la delinquenza di venti per alcuni un modo di vita. L’immigrazione e la disoccupazione, però, sono solo dei rivelatori, o degli acceleratori, di una crisi più profonda, che ha iniziato a manifestarsi assai prima che la disoccupazione di massa facesse la sua comparsa. Questa crisi é il risultato della destrutturazione progressiva di una società nella quale, come scrive Sèbastian Rochè ne La sociètè incivile (Seuil), "tutti i meccanismi sociali di apprendimento dell’autocontrollo e del rispetto reciproco si sfaldano – lasciando il posto al materialismo pratico e all’individualismo intollerante. La delinquenza va infatti di pari passo con la scomparsa dei vecchi punti di riferimento, che non sono stati sostituiti. Un tempo, il civismo si fonda va su realtà forti: la famiglia, il mestiere, l’esercito, la scuola. La famiglia é andata in pezzi, l’esercito ormai non é che un fantasma, e il mestiere é diventato la posta per antonomasia di una lotta di tutti contro tutti. Resta in piedi solamente la scuola, che, gravata di compiti contraddittori (formare cittadini e preparare al lavoro), fa sempre più fatica ad assolverli. Anch’essa, comunque, é cambiata. Quando il ministro Sègoléne Royal spiega in maniera surrealista la sua intenzione di inculcare ai "giovani" i rudimenti della morale kantiana (comportati con gli altri come vorresti che ci si comportasse con te "), quando Lionel Jospin auspica il ritorno dell’ "educazione civica" nella scuola, ambedue evidente mente credono di vivere nell’epoca di Jules Ferry.

E soprattutto sbagliano registro, dal momento che le "inciviltà" – nuovo termine alla moda – e le violenze all’interno della scuola si sono sviluppate con la stessa velocità con cui si andava enfatizzando il discorso sulla "morale civica".

Lo Stato di diritto liberale pretende di essere neutrale dal punto di vista dei valori, ma nel contempo, quando il caos sociale si estende, pretende di far "reimparare la morale". Ma quale? Quella del militare o quella del commerciante? Quella del pubblicitario o quella del prete? Dal momento che oggi non esiste più una morale ufficiale, ascoltiamo una molteplicità di discorsi morali contraddittorio; e questa molteplicità fa sì che essi si distruggano a vicenda.

Sino a quando la neutralità sbandierata dallo Stato era compensata dall’esistenza residuale di strutture di vita tradizionali, il male era ridotto, ma l’odierna erosione di tutte le strutture organiche mette lo Stato di diritto di fronte alla propria vacuità. Per mascherarla, non gli basterà un discorso incantatorio su dei "valori" che sono stati accettati comunemente sol tanto perchè li si é svuotati di qualunque contenuto.

(Così accade con la tolleranza, prototipo del valore generalmente accettato, oggi abitualmente interpretata come tolleranza nei confronti di chi non rispetta alcuna norma). Il discorso dominante pretende nel contempo che si debba essere "responsabili" e che tutti siano "liberi di vivere come credono". Questo duplice discorso é palesemente contraddittorio; e la contraddizione non scompare quando si dice che la libertà degli uni si ferma là dove danneggia quella degli altri, dato che una simile restrizione implica appunto il non porre la libertà individuale al primo posto; se si ha il diritto di vivere nel modo preferito, perchè mai si dovrebbe acconsentire a stabilire dei limiti alla propria libertà? Non si inculcano comportamenti e valori prescrivendoli, bensì incarnandoli. E la classe politica é palesemente più adatta a dare lezioni che esempi. La televisione, dal canto suo, fa vedere soltanto individui che agiscono in funzione del propri interessi o della proprie sensazioni. La società globale celebra i successi facili e le carriere massmediali; ripete che tutto si acquista o si vende; fa dell’utilità o dell’efficacia

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il valore supremo. Dimostra, simultaneamente, che non si ha interesse ad essere poveri e che l’onestà non arricchisce. Si pretende dunque di inculcare dei valori la cui pretesa di valere oggigiorno qualcosa é smentita dallo spettacolo della società. In simili condizioni, l’educazione civica non può essere altro che una mascheratura. La verità é che é inutile parlare di "civismo" là dove non vi sono più cittadini ma consumatori, e di "valori repubblicani" là dove le alte sfere sono le prime a dare esempio non di integrità morale ma di corruzione.

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