Diorama

Mensile di attualità culturali e metapolitiche diretto da Marco Tarchi

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David Allegranti intervista Marco Tarchi per il “Corriere Fiorentino”.

26 Marzo 2012 Redazione

23 Marzo 2012

Professor Marco Tarchi, esiste un problema di conflitto d’interesse anche per il Pd?

“Molti fatti, come anche quelli emersi a Bari, dimostrano che il mondo degli affari, delle imprese, degli appalti e quello della politica sono estremamente intricati. E coinvolgono nell’insieme la classe politica perché il contesto di questi ultimi decenni ha riproposto, in maniera diversa, con continuità, la questione del riciclaggio di una parte del personale politico dirigente una volta che esso non è più nelle condizioni di far parte delle istituzioni elettive. L’occupazione partitocratica prosegue proprio all’ombra del mito della società civile”.

Non è cambiato niente insomma dagli anni Novanta a oggi?
“In forme parzialmente rinnovate, quella prassi che consentiva di collocare dirigenti e quadri intermedi fidati nelle società municipalizzate si è estesa e irrobustita. Si cerca di penetrare stabilmente in quasi tutti gli snodi che collegano il mondo economico e quello politico-istituzionale. È un vizio dei partiti il volersi considerare i decisori privilegiati nel processo di allocazione delle risorse pubbliche. E quando non lo possono fare in via diretta, cercano di influenzare il processo attraverso propri referenti collocati in quei punti di snodo cui ho accennato”.

Il conflitto d’interessi viene però giustificato dalle competenze acquisite dagli anni dai politici.
“C’è una competenza tecnica in senso proprio –ingegneristica o urbanistica, per esempio – e c’è la competenza di chi sa come affrontare le problematiche burocratico-amministrative. I politici di professione su questo versante la fanno da padrone, anche se non hanno qualità professionali specifiche per occuparsi di talune questioni. Il punto è questo: nella cosiddetta seconda repubblica non c’è più la logica puramente spartitoria che teneva tutti tranquilli con interventi limitati; c’è invece l’idea che il mondo economico debba essere tenuto costantemente sotto pressione, che si debba per forza creare un ponte costante fra la politica e il mondo degli affari, l’economia, le banche e le istituzioni. Al di là dei risvolti penali, non dimentichiamoci mai del famoso ‘abbiamo una banca’ di Fassino; non c’era di mezzo una questione corruttiva, ma, semmai, di influenza politica. Un tempo ci si accontentava di una nomina in qualche municipalizzata, che poi dava luogo ad altre nomine e/o assunzioni. Adesso siamo a un’invasione di campo sistematica. Pensi alla discussione sulla gestione di Alitalia prima della crisi, a quella dell’Unire e a tante altre. La politica ha esternalizzato alcune delle funzioni che prima svolgeva direttamente: ci sono uomini di partito che lavorano all’interno di istituzioni private per promuovere i loro interessi. Il clientelismo degli anni Settanta e Ottanta è oggi, in forme rinnovate, più forte che mai”.

Ma la mitica società civile?
“È un miraggio. Ormai essa è profondamente penetrata dai partiti. Non c’è più un rapporto di taglieggiamento come ai tempi di Tangentopoli, quando piccoli operatori e industriali si ribellarono alla pratica delle tangenti; c’è un sistema più raffinato, che si basa su una serie di accordi che permettono di non eccedere i limiti legali. Si arriva a soluzioni che possono essere vantaggiose per tutti, per la politica e per il mondo economico. Basti pensare a quello che sta emergendo in Lombardia, in vari enti locali. C’è una visione distorta del rapporto fra politica ed economia, in cui la partitocrazia la fa da padrona. E in Toscana, una regione dove la continuità del potere dei governi locali diffusi è assoluta, certi meccanismi si sono consolidati nel tempo, dal momento che la guida politica di questi enti pare inamovibile”.

Interviste

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