Diorama

Mensile di attualità culturali e metapolitiche diretto da Marco Tarchi

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destra, sinistra e oltre

18 Luglio 2007 Redazione

 

Il mensile "La Rivisteria" ha pubblicato nel numero 74, di marzo 1998, un articolo richiesto a Marco Tarchi mesi addietro, presentandolo ai suoi lettori come invito al dibattito sul tema dei rapporti fra culture "di destra" e "di sinistra", facendolo seguire da una replica in forma di intervista di Marco Revelli, definito dalla redazione "intellettuale vicino a Rifondazione" (partito di cui in realtà è capogruppo al consiglio comunale di Torino). Riportiamo di seguito questo scambio di opinioni, precisando che il numero 214 di "Diorama" (maggio 1998) ospiterà una controreplica di Tarchi sulla fondatezza delle argomentazioni che gli avversari del dialogo trasversale tra intelligenze eretiche continuano ad avanzare in questa epoca di trionfante retorica bipolare.

Destra, sinistra e oltre

La storia dei tentativi recenti di avviare, in Italia, un dialogo fra le culture abitualmente definite "di destra" e "di sinistra" è lastricata di ostacoli e malintesi, ma registra anche alcuni significativi successi. Riepilogarne sinteticamente gli episodi salienti può essere un’utile premessa all’esplorazione degli scenari che l’evoluzione politica del nostro paese, oggi ancora incerta, potrà riservarci nel prossimo futuro.

Sino alla metà degli anni Settanta, il confronto fra questi due mondi è stato reso arduo dalla convinzione condivisa pressoché unanimemente dall’establishment intellettuale che una cultura di destra non esistesse, o non fosse in ogni caso degna di essere presa in considerazione perché espressione di una fase dello sviluppo storico-sociale fortunatamente superata. Echi di quella presenza "altra" filtravano di tanto in tanto anche sulla scena ufficiale – il successo dei romanzi di Céline, Pound intervistato in tv da Pasolini, la pubblicazione di qualche libro di Drieu La Rochelle, una timida riapertura a Marinetti -, ma necessitavano di giustificazioni psicanalitiche sugli strani destini del genio, che poteva farsi strada anche in settori marginali. Soltanto la riscoperta dell’opera di Nietzsche tramite l’edizione adelphiana di Colli e Montinari ha modificato la situazione.

Benché presentata come una doverosa operazione di ripulitura dell’immagine del filosofo danneggiata dalle incrostazioni della propaganda nazionalsocialista, la ricomparsa del solitario di Sils-Maria nei salotti buoni dell’intelligencija che lo avevano a lungo proscritto apriva infatti la strada ad altre riscoperte non meno significative. Grazie all’acuta curiosità intellettuale di Massimo Cacciari, Ferruccio Masini, Giacomo Marramao e altri pionieri risalivano in superficie Carl Schmitt, Gottfried Benn, Ernst Jünger, e riacquistava cittadinanza quell’arcipelago che, in un libro famoso ma non tradotto in Italia, Armin Mohler aveva definito "Rivoluzione conservatrice". L’evento non poteva passare inosservato agli occhi dei pochi che avevano sino ad allora coltivato una passione solitaria per quella cultura "maledetta", e al di là delle reazioni della stampa gravitante attorno al Msi, sdegnata per il tentativo di "appropriazione" di una parte del patrimonio culturale di cui l’area disponeva, suscitò attrazione fra i giovani in odore di eresia che cercavano di svecchiare il microcosmo neofascista immettendovi le idee della Nouvelle droite animata in Francia da Alain de Benoist (i cui libri sarebbero diventati per una breve stagione i bestsellers delle ultime generazioni missine).

Il dialogo fra quella che veniva presentata dai media come una Nuova Destra e quella che poteva essere ancora raffigurata come una Nuova Sinistra era ormai nell’ordine delle cose necessarie, e dopo un timido esperimento sotto forma di dibattito fra Cacciari, Mughini, Veneziani e De Turris sulla tolleranza nella cultura, comparso sull’effimera rivista di destra "Omnibus", fiorì nella tavola rotonda organizzata dalla pubblicazione della Nuova Destra "Diorama Letterario" a Firenze il 27 novembre 1982. Lo scambio di idee fra Cacciari e Giovanni Tassani (uno studioso appartenente alla sinistra cattolica, che per primo si era interessato alla ND e al suo insolito percorso) da un lato, e chi scrive e Giuseppe Del Ninno dall’altro, moderatore Giano Accame, suscitò interesse nei media – quotidiani e periodici gli dedicarono quasi cento articoli, se ne interessarono radio e tv – e avviò un’intensa discussione, che coinvolgeva anche "Elementi", un trimestrale diretto da Stenio Solinas in cui si sosteneva l’inefficacia dello spartiacque destra/sinistra a rendere ragione delle linee di antagonismo delle società complesse e si predicava la necessità di dar vita a nuove sintesi ideologiche che avrebbero potuto portare sullo stesso fronte intelligenze di diversa, e magari opposta, formazione.

Se però per Cacciari questo "fronte del nuovo" si poteva creare davvero, per altri, a destra e a sinistra, esso andava evitato ad ogni costo. In particolare, era viva in alcuni settori della sinistra la preoccupazione che la "Nuova Destra" fosse solo una forma più insidiosa e sofisticata della "destra antica", in cerca di legittimazione per penetrare nella cittadella della produzione culturale, tradizionale roccaforte del pensiero progressista. La lotta degli esponenti di questo fronte del rifiuto (Ferraresi, Revelli, Calabrese, Tranfaglia, ecc.), dura e senza esclusione di colpi, ha impedito al dialogo di fare decisivi passi avanti e in una certa misura ha evitato che la componente intellettualmente più inquieta del mondo giovanile missino abbandonasse in blocco la casa-madre, in un percorso aperto dai fondatori della Nuova Destra nel 1981. Ma negli anni Ottanta la ND ha intensificato comunque il confronto con interlocutori di sinistra, includendovi Ferruccio Masini, Sabino Acquaviva, Alexander Langer, Giacomo Marramao, Roberto Esposito, Marino Freschi e molti altri. Per tutto il decennio, aperture e sospetti si sono alternati, e il varo nel 1986 della rivista di studi politici "Trasgressioni", destinata a fare da ponte fra intellettuali insofferenti alle logiche di schieramento ha allargato un po’ il varco.

La caduta del Muro di Berlino e il crollo del socialismo reale nell’Est Europa, precipitando la sinistra in una crisi d’identità senza precedenti, hanno segnato un altro stacco nella vicenda. La volontà di non arrendersi alla prospettiva del dominio planetario del "pensiero unico" occidentalista sbandierata su ogni numero di "Elementi", giunta finalmente (ma solo per un breve periodo) in edicola con periodicità mensile) ha ulteriormente allontanato la ND dalla destra e suscitato simpatie fra i suoi ex avversari. Ma soprattutto ha avuto un effetto dirompente la crisi del sistema politico italiano innescata da Tangentopoli. La "rivelazione" dell’esistenza nella società italiana di settori molto cospicui disposti, dopo cinquant’anni, a non vergognarsi più di ammettere sentimenti conservatori, nazionalisti, persino reazionari, ha reso inevitabile il confronto con il mondo emergente della destra. L’uscita di un denso fascicolo monografico della rivista di area pidiessina "Democrazia e diritto" dedicato al tema Destre e l’invito a collaborarvi e a presentarlo alla Festa nazionale de "l’Unità" ad uno studioso presentato come "teorico della Nuova Destra" ha dato il là a una fase di accettazione del dialogo che ha avuto, nel suo versante culturale, aspetti spettacolari come la presenza di Montanelli alla massima kermesse del Pds e effetti meno enfatizzati, come l’ormai costante presenza di intellettuali di destra (primo fra tutti Veneziani) ai talk shows televisivi.

In questa nuova situazione, tuttavia, i termini del contendere sono profondamente mutati. L’interlocutore di larga parte della cultura di sinistra non è più un soggetto eretico e refrattario all’inserimento nella geografia assiale bipolare della cultura politica, bensì un insieme eterogeneo di intellettuali che in quel contesto, salvo il caso di Franco Cardini, si inseriscono ben volentieri accettando un gioco fra antagonismi predefiniti. Il confronto fra destra e sinistra, insomma, è tornato ad essere scontro, sia pure pacifico e reciprocamente legittimante, e non ricerca di intersezioni, di luoghi di sintesi, di rovesciamenti di campo: ha abbandonato la tentazione di prefigurare il futuro per collocarsi nella più rassicurante dimensione della routine.

Non può stupire, quindi, che i protagonisti dei contrastati approcci degli scorsi quindici anni si siano defilati da questo panorama di embrassons-nous un po’ di circostanza. Il progetto di pubblicare, con la Rcs periodici, un mensile che raccogliesse le opinioni di quanti amano pensare "oltre la destra e la sinistra", che un paio di anni addietro aveva sollevato l’attenzione del "Corriere della Sera", non si è concretizzato. La corrente di idee che sino al 1994 aveva accettato, pur con molti distinguo, l’etichetta di Nuova Destra, adesso nega con veemenza qualunque consonanza con le varie destre esistenti, e attraverso le sue pubblicazioni "Diorama letterario" e "Trasgressioni" intensifica il suo interesse per una cultura delle nuove sintesi. Alcuni dei suoi più ruvidi avversari di un tempo, come Marco Revelli, le rendono un tardivo onore delle armi: ma anch’essi, oggi, sentono il peso di una sconfitta, testimoniata dal trionfo, a sinistra come a destra, del paradigma liberale-liberista. E’ contro l’egemonia di questo nuovo dogma che si misurerà la capacità delle culture antagoniste di diversa origine di superare l’epoca delle ostilità dettate dal ricatto delle memorie del passato, e di dimostrare l’inattualità di una separazione fondata su categorie cui solo la paura del Nuovo riesce ancora a dare spessore.

Marco Tarchi

 

Il "dialogo" visto da sinistra

Stimolati dall’interessante pezzo di Marco Tarchi, abbiamo voluto approfondire la questione dell’esistenza, o meno, di luoghi comuni – riviste, libri, convegni – tra destra e sinistra. Dall’inchiesta svolta, ci risulta che l’attenzione sia stata in senso univoco, ovvero che solo a destra sia stata avvertita l’esigenza di un dialogo con la sinistra, e in particolare delle frange più estreme. Dall’altra parte al massimo c’è stata una curiosità soggettiva, di singoli intellettuali, verso le modificazioni culturali della destra. Solitamente, l’atteggiamento delle riviste di Sinistra è stato di pregiudizio o di sospetto. Un intellettuale curioso come Cacciari è stato accusato di collusioni con la destra. Stessa sorte è toccata a Franco Berardi Bifo, autore di Come si cura il nazi (Castelvecchi); e a Primo Moroni, per un intervento su "Orion".

In più, abbiamo voluto sentire il parere di Marco Revelli, citato più volte nell’articolo di Tarchi.

Cosa ne pensi dei temi sollevati dall’articolo di Marco Tarchi?

Sulla questione, ero intervenuto già ai tempi dello sdoganamento della destra, avvenuto 20 anni fa. Quello attuale riguarda i media, ma lo sdoganamento della destra è avvenuto in Francia, il nostro non è che un’importazione. A un certo punto si è scoperto che anche la destra estrema aveva delle radici culturali, soprattutto letterarie, nel ‘900: Céline, Jünger. C’è stato un vivace dibattito, alcuni di noi pensavano che non bastasse avere radici culturali per uscire dall’aria dell’estrema destra novecentesca. Per quanto ci fossero stati scrittori straordinari essi erano pur sempre portatori di identità e di valori di destra.

Tutti abbiamo fatto da allora molta strada e ne ha fatta anche Marco Tarchi. Lui aveva iniziato a parlare di nuova destra dall’interno dell’Msi su posizioni vicine alla componente rautiana. Dopo di che si è scontrato frontalmente con l’apparato almirantiano e con buona parte degli allora caporali che che poi sono diventati colonnelli e ora sono generali: Gasparri, Fini; che erano molto più nostalgici e molto meno intelligenti di lui e che hanno continuato ad avere i busti di Mussolini nelle sezioni fino al 1992.

Adesso riconosco che in Tarchi c’è assai poco del neofascista di allora; è un verde, un conservatore di valori, un organicista, un comunitario. Anch’io sono favorevole a forme comunitarie ma le immagino concettualmente diverse dalle sue, non penso a strutture organiche, ma a strutture scelte, ad alcune aggregazioni sociali di fabbrica caratterizzate dal conflitto.

In Italia alla fine degli anni ’70 ci furono personaggi come Cacciari incuriositi dalla Nouvelle Droite e che stabilirono un dialogo diretto con essa, anche sulla base della sua riflessione sull’obsolescenza della distinzione tra destra e sinistra. Non ho mai creduto all’obsolescenza di queste categorie. Io continuo a pensare che i soggetti cambino, ma i luoghi identificanti della politica rimangano. Oggi la casella della sinistra è rada, quella della estrema destra è vuota. Ciò non significa che non esistano identità e valori.

E’ possibile individuare un ambito editoriale di sinistra dove questo dialogo sia avvenuto davvero?

Ricordo un incontro famoso a Firenze che sollevò scalpore, l’attenzione di un cattolico di sinistra, Tassani, quella della rivista "Bozze" di Baget Bozzo, ed anche di quella figura caricaturale che è Gianpiero Mughini, il quale prima di dedicarsi al calcio ebbe una rapida passione per la nuova destra. Singoli personaggi, non aree strutturate né riviste. Vi erano poi le loro pubblicazioni, ad es. "Diorama letterario", un’ottima rivista che leggo con continuità per informarmi su una cultura che so diversa dalla mia.

Secondo te, è esistito un movimento rivoluzionario di destra privo di collusioni con gli apparati dello Stato?

C’è stato in Italia un breve intervallo che va dal ’75 agli anni Ottanta in cui è saltato il vecchio blocco golpista eversivo di destra. Tra il ’75 e il ’76 è cambiato il quadro politico; è emerso il terrorismo di sinistra, buona parte dei gruppi dominanti ha considerato terminato il periodo del muro contro muro. C’è stato anche un periodo dello spontaneismo armato di destra nel quale schegge, frange, pezzi di movimenti giovanili si sono rivoltate contro lo Stato che fino ad allora era stato il grande guardiano, il grande tutore dell’eversione di destra (in questo contesto hanno cominciato a sparare sui poliziotti, sui giudici e sono maturati gli omicidi di Amato e di Occorsio).

Franco Ferraresi ha documentato molto bene questa fase in un bel libro intitolato Minacce alla democrazia. Questo fenomeno non ha niente a che vedere con la nuova destra, però ha espresso una fiammata spontanea di sovversivismo. Diciamo pure che è stato un esempio di movimento rivoluzionario di estrema destra, ma il suo potenziale politico era molto basso.

In quello stesso periodo maturava nella Nuova Destra un processo di emancipazione intellettuale dal corpus nostalgico ortodosso che andava dai gruppi vicini alle forze armate ai comitati tricolore fino all’evolismo. A quel punto una serie di persone intelligenti a destra scopre di avere radici intellettuali e scopre anche la possibilità di parlare a strati giovanili (l’egemonia della sinistra sui movimenti di rivolta andava diminuendo), inoltre comincia a intravedere la possibilità di innovazione del linguaggio, delle categorie e forse anche qualche inedita possibilità egemonica.

Eravamo in pieno compromesso storico, il Pci si stava facendo Stato, c’era una contrapposizione orizzontale tra movimenti giovanili e palazzo. Tutti, a partire dall’idea gramsciana che l’egemonia culturale precede il rafforzamento politico, ritengono, in una nuova antropologia giovanile, di avere un discorso da fare. Lo fanno ma penetrano assai poco, penetrano molto di più nel sistema dei media, aprono la strada allo sdoganamento che avverrà qualche anno dopo. E’ la storia di un’avanguardia scavalcata da una sua retroguardia.

Non ti sembra che, al di là dei personaggi e delle riviste, ci sia un apparato teorico sdoganante, utilizzato cioè contemporaneamente dalla destra come dalla sinistra?

Temi come il pensiero unico, la mondializzazione, l’occidente non sono forse generici, globalizzanti e teoricamente promiscui?

E’ vero che esiste un generico anticapitalismo della destra; un tema caro è il rifiuto dell’assolutizzazione della sfera economica che deriva da tanti filoni, non ultimo quello evoliano. Questo elemento è comune all’antiutilitarismo tout court, che condivido anche se con un apparato teorico del tutto diverso: io rifiuto il meccanicismo dell’alienazione, della mercificazione ecc.

La critica del liberalismo è comune, ma ovviamente svolta con posizioni molto differenti. Comunque, oggi non solo non ci sono basi comuni, ma neanche più i tavoli intorno ai quali sedersi per discutere.

Pino Blasetti

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