Diorama

Mensile di attualità culturali e metapolitiche diretto da Marco Tarchi

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Gentile e il vaticano

18 Luglio 2007 Redazione

 

Paolo Simoncelli, Gentile e il Vaticano. 1943 e dintorni, Le Lettere, Firenze 1997, pagg. 155, lire 25.000.

La ricerca di Simoncelli, ben condotta, sottile e accurata, esplora le relazioni intercorse tra Giovanni Gentile (e la sua filosofia) e la chiesa cattolico-romana (e la sua ortodossia), ne delimita il terreno di incontro e di scontro e riscrive, con passione e perizia, una pagina della recente storia italiana. Il breve e denso volumetto che raccoglie i risultati dell’indagine e ne presenta la documentazione d’appoggio rilegge una complessa vicenda culturale che ha avuto come protagonisti la "religione dell’attualismo" da una parte e la "religione della trascendenza" dall’altra. Due teologie diverse, due concezioni del divino e del mondano che hanno giostrato e incrociato le armi per almeno un ventennio, ma che hanno anche lasciato intravedere, quasi come epilogo di tanti contrasti, una via di Damasco, una pacificazione, anzi una clamorosa conversione della religione attualista nella chiesa universale, cattolica e romana.

Gentile e il Vaticano

Questo quadro, qui sinteticamente abbozzato, viene disegnato da Simoncelli con attenzione ai molteplici significati implicati e messi in gioco dall’auspicata (dal fronte cattolico) conversione del più importante e prestigioso intellettuale fascista. In quel biennio crudele affioravano indizi della nuova dislocazione verso la quale si andava orientando una parte dell’intellettualità italiana, e si profilava il ruolo che la chiesa cattolica avrebbe potuto svolgere, con le sue grandi riserve di valori religiosi, nell’indirizzare ampi strati della popolazione verso una diversa fase della vita nazionale. Nel novembre del 1942 anche il "papa laico", Benedetto Croce, aveva pubblicato sulla "Critica" il famoso articolo Perché non possiamo non dirci cristiani, che aveva dato a molti l’impressione di un "armeggiare" del filosofo liberale con la chiesa.

E’ in questo contesto che il libro colloca i due avvenimenti più importanti per l’ipotizzata conversione di Gentile. Il primo è la celebre conferenza, intitolata La mia religione, da lui tenuta il 9 febbraio 1943 all’Istituto italiano di studi filosofici di Firenze, nella quale egli pronuncia la tanto discussa professione di fede cattolica. Il secondo è l’udienza concessagli da Pio XII il 14 aprile dello stesso anno, durante la quale il filosofo, che è anche presidente e fondatore dell’Ismeo, presenta al Pontefice il volume che raccoglie le conferenze promosse dall’Istituto sull’attività delle missioni cattoliche in Asia. Sono due episodi rilevanti, pubblici e, almeno in apparenza, collegati nell’attesa della via di Damasco.

Ci si può chiedere quale sia il senso di questo confronto ravvicinato tra una filosofia dell’immanenza, quale indubbiamente è l’attualismo, e una teologia della trascendenza, quale indubbiamente è il cattolicesimo: su quale terreno avrebbero eventualmente potuto incontrarsi? La risposta di Simoncelli è netta: l’attualismo ha sempre coltivato e promosso un umanesimo religioso, e la sua missione culturale per creare la "nuova Italia" è stata letta anche da Del Noce in termini di "riforma religiosa". Ma la conversione comporta un terreno d’incontro, un’intesa sull’ortodossia e sulla dogmatica. E questa intesa, per quanto attiene Gentile, non c’è mai stata, né poteva esserci. La religiosità gentiliana era fatta di soggettivismo, intrisa di antirealismo, animata da un senso (eretico, ha commentato più d’uno) della libertà dell’umano e del divino che non è mai stato revocato. E tale revoca era, invece, la condizione per quel passo definitivo, mai compiuto.

Nessuna conversione si è verificata dunque in Gentile, neanche nelle parole con cui egli ha rivendicato nella conferenza di Firenze la sua appartenenza alla chiesa cattolica: "Sono cristiano perché credo nella religione dello Spirito. Ma voglio subito aggiungere, a scanso di equivoci: io sono cattolico". Queste frasi esprimono, secondo Simoncelli, con una tonalità più accentuata, con un coinvolgimento personale più esplicito, con un’apertura inedita al cattolicesimo, il senso religioso dell’attualismo. E se confrontiamo questa professione di fede con le pagine dedicate alla religione e al tema della morte e dell’immortalità contenute nell’ultima opera di Gentile, Genesi e struttura della società, composta nell’agosto-settembre del 1943 e "scritta a sollievo dell’animo in giorni angosciosi per ogni italiano e per adempiere un dovere civile", ne esce confermato l’immanentismo della religione gentiliana. "Ancora una volta", scrive Simoncelli a commento di quelle pagine, "un rigoroso motivo religioso-morale è sotteso a questo suo lavoro". Tanti sono i temi afferenti alla religiosità dell’uomo discussi in questa estrema, e forse più bella, testimonianza del suo credo filosofico: la laicità dello Stato, l’essenzialità della religione, la tolleranza e molte altre questioni già affrontate in altri interventi e riprese anche nella conferenza fiorentina, qui ribadite a sostegno della sua tesi secondo cui l’attualismo è il vero cattolicesimo, tesi che suona come una risposta negativa a chi attendeva la sua conversione.

Il libro di Simoncelli, intrigante e talvolta divagante in percorsi solo in apparenza fuorvianti, ci avvicina anche ad altre questioni, imparentate con il tema principale, che ci portano addentro alla biografia pubblica e privata del filosofo. Vogliamo soffermarci su una di queste: la posizione tenuta da Gentile verso l’entrata in guerra dell’Italia nel 1940. E’ un passaggio importante della sua storia personale, già in parte chiarito dalla bella biografia di Gabriele Turi, su cui Simoncelli ritorna non solo per confermare la scelta defilata e il silenzio pubblico del filosofo sull’evento (in netta antitesi con quanto aveva detto e scritto nel maggio del 1915), ma anche per avanzare la inedita ipotesi di un criptopacifismo gentiliano che trasparirebbe dall’articolo Roma eterna pubblicato su "Civiltà", la neonata rivista dell’Esposizione Universale, pochi giorni dopo la dichiarazione di guerra. E’ interessante poi seguire il modo e il momento in cui Gentile decide di assumere una pubblica e piena presa di posizione a favore dell’Asse: lo fa dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti, con un articolo pubblicato ancora su "Civiltà" e intitolato Giappone guerriero, nel quale esprime una profonda ma non insospettata attenzione alla civiltà dell’estremo Oriente e il suo sostegno alla lotta contro l’imperialismo e il capitalismo americano.

Michele Del Vecchio

accende e tiene vivo l’interesse del lettore per questa vicenda che oggi può apparire lontana, relegata in quel passato remoto in cui opposizioni come quella sopra indicata accendevano passioni intellettuali e civili e dettavano scelte tra tavole di valori. Simoncelli, inoltre, riannoda la trama dei rapporti e degli intrecci (non solo filosofici e teoretici ma anche politici, considerato il ruolo di Gentile) che si sono dipanati tra i due protagonisti nell’arco di tempo racchiuso tra l’incarico ministeriale del filosofo nel primo governo Mussolini e il 1943. Rapporti che attraversarono fasi e scansioni differenti: dopo l’apertura manifestata dalla gerarchi ecclesiastica verso la riforma della scuola del 1923 – che, come ebbe a dire Gentile, riportava il crocifisso nelle aule – sopraggiunse infatti un’epoca di dure polemiche, nata dall’intransigente opposizione del filosofo siciliano al Concordato. E’ a quell’opposizione che bisogna ricondurre la decisione vaticana (sembra ispirata da padre Gemelli) di inserire, nel 1934, l’opera omnia di Gentile nell’Index Librorum Prohibitorum, che tanta amarezza e sorpresa procurò nella cerchia dei neoidealisti. La condanna vaticana non fu però una chiusura definitiva, poiché verso il filosofo attualista venne mantenuta viva una strategia dell’attenzione e del dialogo. E allorché, nel biennio 1942-43, un doloroso fatto familiare – la morte del figlio Giovannino -, il profilarsi di un sentimento religioso nuovo nell’animo di Gentile e l’incombente crisi politica sembrano aprire nuovi varchi nella corazza dell’attualismo, ecco prendere corpo in alcuni autorevoli ambiti cattolici la speranza e l’attesa del passo definitivo, ossia la pubblica conversione alla chiesa di Cristo e di Roma.

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