Diorama

Mensile di attualità culturali e metapolitiche diretto da Marco Tarchi

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Il giappone tra due civiltà

18 Luglio 2007 Redazione

 

Il Giappone fra due civiltà

Il Giappone ha saputo, per decenni, modernizzarsi senza per questo diventare occidentale. Sino ad epoca recente, è parso rimanere fedele aì suoi valori tradizionali, benché conoscesse una crescita economica senza precedenti, alimentando in tal modo la sensazione che fosse possibile un"’altra modernità". Un viaggio in Giappone colpiva molto da questo punto di vista. I giapponesi davano l’idea di vivere costantemente su due registri opposti: occidentale e tradizionale. Si vestivano durante la giornata da businessmen americani, ma tornati a casi infilavano il kimono. Le loro case, attrezzate con le più recenti novità in materia di casalinghi, conservavano stanze sistemate al modo antico, con i tatami, i paraventi di carta, il genkan (lo spazio nel quale ci si tolgono le scarpe) e il bagno tradizionale. I negozi, i ristoranti e gli alberghi offrivano ai clienti prodotti o servizi di origine e di spirito altrettanto opposti".

Sotto una vernice partitocratica occidentale, la vita politica giapponese continuava ad essere largamente fondata sul tradizionale clientelismo, ben lontano dal modello americano della democrazia di mercato. I capi di partito erano tenuti a prendersi cura dei vassalii al modo,dei capi samurai. La nozione di classe sociale (kaikyu) brillava per la sua assenza nel discorso sia degli intellettuali che dei politici, e il popolo giapponese continuava a spiegare il suo successo con il fatto di essere prima di tutto " unico e unito " (tenitsu minzoku). Malgrado i massicci sforzi di accuiturazione messi in atto dagli Stati Uniti fra il 1945 e il 1952, la versione americana della democrazia rimaneva un prodotto d’importazione imposto da un paese vincitore a un paese vinto, che non ha mai riconosciuto il proprio torto nell’ultimo conflitto mondiale né dimenticato i crimini di guerra di Nagasaki e Hiroshima".

Essendo la società incentrata sulla famiglia, la fabbrica rappresentava un’estensione di questa famiglia e la nazione un’estensione della fabbrica, il che assicurava una congruenza delle lealtà. Tradizionalmente, i lavoratori ritenevano che i loro interessi si identificassero con quelli della fabbrica, e si sentivano obbligati a dar prova di lealtà e di fedeltà (chújitsu) verso i datori di lavoro così come un vassallo doveva fare con il sovrano o un fratello minore verso il maqgiore (sempaTkohai). La differenza tra le retribuzio~ni era relativamente ridotta, il tempo a disposizione di ciascuno assomigliava più al " permesso " militare che al tempo libero propriamente detto, e dal momento che il posto di lavoro era garantito a vita, gli operai non avevano alcun motivo per opporsi all’automatizzazione della produzione. Ad ogni livello, l’accento veniva posto sulla cooperazione e sulla ricerca di un "equilibrio" tra punti di vista opposti. Le principali decisioni venivano prese solo dopo un’intensiva consultazione di tutte le parti in causa (nemawashi, letteralmente " impossessarsi delle radici "): ci voleva parecchio tempo per prenderle, ma poi nessuno I? rimetteva in discussione. Le relazioni socioprofessionali si basavano innanzitutto sulla fiducia reciproca, i funzionari erano ritenuti competenti e ben intenzionati, e i conflitti raramente arrivavano sino ai tribunali: nel 1980 si contavano in Giappone meno di 12.000 avvocati, contro gli oltre 500.000 degli Usa. Quel Giappone tradizionale non è del tutto scomparso oggi. Negli anni Ottanta, l’emergere della tematica postmoderna ha anzi suscitato una sorta di resurrezione del nazionalismo culturale, tendente a far apparire il paese come un modello di prolungamentosuperamento della modernità occidentale. Essa ha inoltre fatto ritornare di moda autori tradizionali quali Kitaró Nishida (1 870-1945) o Tetsuró Watsuji (1 8891960), mentre la decostruzione dei " grandi racconti " storicisti, assimilata alla fine dell’imperialismo intellettuale occidentale, alimentava un ritorno al tema dell’assoluta singolarità del popolo nipponico.

Ciononostante, l’immagine di una società giapponese – unanimista " si è andata progressivamente logorando negli ultimi anni". Il Giappone, oggi in piena trasformazione, sta passando a sua volta da una società strutturata per gruppi verticali a un modello più elastico, organizzato per " reti ". Il sistema di valori gerarchico e olista cede via via il passo al modello liberale-edonista. L’individualismo fa proseliti, soprattutto fra i giovani, e il bisogno di integrazione nel gruppo diminuisce. L’arretramento dei valori collettivi, familiari e sacrificali è innegabile. Si vedono sempre meno famiglie a tre generazioni, e questo raggruppamento non è più fondato sull’obbligo delle abitudini, come nel vecchio sistema ié. Il matrimonio tradizionale (miai) tende a scomparire, -la percentuale di divorzi è raddoppiata nel corso degli ultimi dieci anni e la denatalità raggiunge un livello preoccupante. L’uso della droga aumenta, di pari passo con la criminalità. La corruzione e gli scandali politici hanno finito con lo screditare i partiti al potere.

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