Diorama

Mensile di attualità culturali e metapolitiche diretto da Marco Tarchi

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Il novecento e le sue storie

18 Luglio 2007 Redazione

 

Scipione Guarracino, Il Novecento e le sue storie, Bruno Mondadori, Milano 1997, pagg. 282, lire 15.000.

Se c’é qualcosa che mostra la storia secondo un taglio destituito di valore, é la sua divisione in secoli.

Per la cronologia un secolo dura cento anni, ma per la storia ci sono secoli i cui prodromi fanno capolino poco prima che venga abbassata la bandiera del via, oppure partono in ritardo di qualche anno: gli stessi sintomi della fine si manifestano spesso ben prima del traguardo del 100. Lo studio dei momenti in cui si formano le più profonde fenditure storiche sarebbe sufficiente a capirlo; ma noi siamo fortunati, perchè abbiamo sotto gli occhi il Novecento, proprio quello che pochi anni fa Hobsbawm ha definito, con felice formula, il "secolo breve".

Il fatto é che il Novecento é un secolo iniziato tardi e finito presto. La ragione é che nel suo primo beato decennio vagava ancora l’illusione della mollezza borghese e tardo-feudale, che di lì a poco si sarebbe infranta sull’orribile macello delle trincee della Grande Guerra: il Novecento prendeva traumaticamente coscienza sia della sua nascita che della sua essenza di secolo speciale. Si era nel 1915 e la corsa iniziava tardi sulla tabella canonica di marcia. E proprio quando i giochi sembravano radicalmente fatti, quando nessuno in Occidente, coccolato dalla TV e dalla comodità degli elettrodomestici, avrebbe pensato che il sistema della sicurezza poteva saltare, ecco che proprio allora, nel fatidico 1989 (a duecento anni esatti dal 1789!), il secolo testimoniava per la seconda volta di essere davvero breve e crollava assieme ai mattoni rabbiosamente smantellati a suon di martellate dal Muro di Berlino. Coi crollo del megalite sovietico, col rapido profilarsi dell’inedita contrapposizione Sud-Nord che andava in una notte a sostituire la vecchia ma stabile contrapposizione Est Ovest, l’uomo veniva messo di fronte a un ciclo che, inesorabilmente, si esauriva.

Che le democrazie occidentali tentino di trovare un loro equilibrio mediante la formazione di blocchi in terni e la dialettica del bipolarismo, che il biondo intero cerchi di stabilizzarsi nella fallace certezza della mondializzazione, tutto ciò non elimina l’evidenza: che le questioni nazionali e regionali riprendono vigore esattamente là dove si pensava che la pedagogia internazionalista le avesse eliminate, che l’interesse scivola via dall’individuo sradicato delle città anonime per andare a investire le comunità o i tessuti di cultura nei quali egli potrebbe vivere. Appare insomma il multipolarismo, coi quale il neonato secolo che apre il terzo millennio deve già fare i conti.

Per ora, già corre l’opera di analisi di quello apppena trascorso, quel Novecento il cui compimemto ha portato non pochi a tirare un sospiro di sollievo e a guardare altrove, là dove si intravede uno spiraglio di luce fra tutte le foschie degli estremismi e totaljtarismi che il Novecento lascia in eredità. Se infatti I’Ottocento fu l’epoca del progresso e del sogno della crescita infinita (il secolo definito "stupido" da Lèon Daudet), il Novecento non ha potuto far altro che portare quei frutti al culmine della loro marcescenza. Tutto é stato estremo nel Novecento: la forma delle guerre, la potenza della bomba, l’impiego del genocidio, la follia collettivista, l’egoismo occidentale, la rigida creazione dei blocchi, la rapidità con cui sono state disgregate le cose appena costruite, il riemergere virulento delle istanze etniche.

Se si osservano queste cose, resta in bocca il sapore inequivocabile dello scetticismo sui grandi progetti portanti del Novecento, tutti discutibili alle loro radici. E’ sufficiente compiere un giro completo dello sguardo per rendersi conto che le cose vengono prese dovunque di petto: mai la tanto decantata dialettica, mai la dolcezza, mai la mano leggera. Gli uomini paiono colti, di volta in volta, da un’inarrestabile fregola di autolesionismo, paiono follemente attratti a premere il pulsante dell’autodistruzione. Dappertutto si uccide per ragioni che, solo meditandole un poco, risultano del tutto ingiustificabili. Le vittime si contano dovunque non più a decine, e folla sono anche le cosiddette vittime civili, coloro che vengono sacrificati sull’ara della moderna dinamica per il so lo fatto che, attraversando una strada, guardavano sbadatamente dall’altra parte. Mai una punta di scetticismo: dappertutto ragioni forti e ben giustificate, anche da bibliografie la cui enormità é in odore di regime. E dovunque, soprattutto, scaturiscono forme sottili di dominio, si costruiscono e si mettono a punto precise metodiche di controllo e irreggimentazione. Non ultimo quel meccanismo sofisticatissimo di controllo delle masse che un capzioso paralogismo battezza " democrazia — Il Novecento é anche questo: un secolo al cui crepuscolo tutti hanno avuto la loro brava patente di democratici. E infine: l’immobilismo del comune cantare ai quattro venti il peana del "cambiamento" e il radicarsi invece di sistemi

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e politiche in terreni talmente grassi che si preferisce essere brutalmente sradicati piuttosto che discutere, o mettersi in discussione. Insomma, il Novecento ha già le sue belle storie, come suggerisce il titolo del volumetto di Scipione Guarracino: é un secolo sul quale ci si può già soffermare con l’interesse dell’antiquario o dell’affabulatore, un secolo da sezionare per mostrarne – senza più mentalità "di classe" – i recessi fetidi e quelli aromatici. Un secolo non allegro che attira come una calamita chi vuoi fare un tuffo nell’irrimediabile, ma che comunque si può già guardare come qualcosa di lontano.

Guarracino sfrangia il semplicistico concetto che i secoli vadano assunti come confini ben delimitati per poter dividere la storia, ma mostra con chiarezza il fatto che tali confini tendono a crearsi e ogni secolo ad assumere una sua personalità, ad apparire come un organismo di sufficiente autonomia. Il Novecento ne esce caratterizzato sia in alcune sue forme che in alcune date-pilastro. Ma soprattutto, al classico taglio storicistico sincronico viene sostituito quello per temi diacronici e analogici (attraversamento del tema lungo l’intero periodo analizzato).

C’era forse qualcuno, fino a vent’anni fa, che pensa va di poter avere la fortuna di assistere alla fine di un ciclo e all’inizio del nuovo? Il bellissimo libro di Guarracino aiuta a farsene una ragione: non dipinge un quadro allegro, ma é lettura benefica, scarica la tensione, dona catarsi. E lo fa soprattutto là dove, nel capitolo sulla Scoperta del mondo finito, tematizza la consapevolezza ormai radicata che la natura ha dei limiti, che é un’abitazione con pareti oltre le quali c’é l’irrespirabile e non pare disposta, per sua interna legge, ad accettare ancora a lungo il disegno di libero sfruttamento che il capitalismo continua a perseguire. Il sapore di questo dulcis in fondo é inequivocabile: le generazioni del nuovo secolo dovranno rimboccarsi le maniche per ridiscutere la formula di vita occidentale. E se il Novecento é stato il secolo degli estremi, cosa c’é di più estremo del fatto che i figli dovranno farsi carico degli errori dei padri?

Antonio Castronuovo

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