Diorama

Mensile di attualità culturali e metapolitiche diretto da Marco Tarchi

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La destra che scelse la non violenza

14 Aprile 2010 Redazione

Quella che venne chiamata «Nuova destra»(Nd), nasce, dopo il ’68 e attorno al ’77, con caratteristiche proprie all’interno di una famiglia politica marginalizzata e criminalizzata nella lotta per bande degli anni di piombo: il neofascismo italiano. Un Msi ridotto per anni in un ghetto, ma anche immobilizzatosi da se stesso a difesa nostalgica di un improbabile fascismo. Il Msi era stato alle origini esso stesso un fenomeno generazionale, composto in gran parte da giovanissimi più radicali dei loro padri. A loro volta i giovani del Msi anni Settanta mantenevano un radicalismo che non poteva seguire le mosse di quei parlamentari che, in opposizione al segretario Almirante, vollero sperimentare una destra sistemica e non più nostalgica con Democrazia nazionale. Quella scissione, riuscita ai vertici, fallì alla base, a riprova che l’elettorato missino credeva ancora al mito di un «fascismo per l’anno Duemila». La «Nuova destra», di cui il principale esponente, Marco Tarchi, ripropone dopo trent’anni questo testo «di fondazione» (La rivoluzione impossibile. Dai campi hobbit alla nuova destra, Vallecchi, pp. 480, euro 18), è stata forse l’ultimo esempio di cultura giovanile relativamente autonoma, autocentrata, in Italia. Una «unità di generazione » per usare le categorie di Karl Mannheim. Le generazioni sono come onde che increspano il paesaggio marino in certe circostanze, più o meno burrascose. Oggi tra i giovani non si distingue una generazione con caratteristiche proprie: in una situazione, critica e non rassicurante, di apparente bonaccia. Se il ’68 è stato l’epicentro di un’intera generazione che si è riconosciuta in momenti e con stili diversi dalla California al Giappone, passando per la vecchia Europa di qua e di là dal muro, i fenomeni giovanili successivi a quella data sono tutti apparsi più ristretti, dal ’77 al ribellismo no-global.
Quella che venne chiamata «Nuova destra»(Nd), nasce, dopo il ’68 e attorno al ’77, con caratteristiche proprie all’interno di una famiglia politica marginalizzata e criminalizzata nella lotta per bande degli anni di piombo: il neofascismo italiano. Un Msi ridotto per anni in un ghetto, ma anche immobilizzatosi da se stesso a difesa nostalgica di un improbabile fascismo. Il Msi era stato alle origini esso stesso un fenomeno generazionale, composto in gran parte da giovanissimi più radicali dei loro padri. A loro volta i giovani del Msi anni Settanta mantenevano un radicalismo che non poteva seguire le mosse di quei parlamentari che, in opposizione al segretario Almirante, vollero sperimentare una destra sistemica e non più nostalgica con Democrazia nazionale. Quella scissione, riuscita ai vertici, fallì alla base, a riprova che l’elettorato missino credeva ancora al mito di un «fascismo per l’anno Duemila».
Se si voleva superare il «tunnel del neo-fascismo», come stabilirono i giovani della Nd in formazione, occorreva adottare un linguaggio innovativo e adatto a tempi e costumi della propria generazione. Ed uscire contemporaneamente da un altro cerchio magico che tratteneva dal bagno storico nel proprio tempo: l’influsso gnostico di Evola. Il linguaggio, finto polemologico, in realtà ironico e dissacrante, fu trovato col giornaletto «La Voce della Fogna», dal dicembre 1974 (in risposta e sfida al motto goscista: «Fascisti, carogne, tornate nelle fogne!»), in cui simpatici ratti per tutta risposta invadevano la città, contaminando luoghi e abitudini quotidiane. Cui seguì l’originale scelta d’una mitopoietica innovativa, con l’adozione dell’universo fiabesco dei personaggi del Signore degli Anelli di Tolkien, impersonificando il proprio mondo in quello del piccolo e pacifico popolo degli Hobbit.
Tarchi non solo ripropone un testo, Hobbit/Hobbit, uscito nell’82 a seguito del terzo Campo Hobbit, a Castel Camponeschi, in Abruzzo, ma vi costruisce sopra un ragionamento dopo aver raccolto commenti e polemiche d’epoca che aiutano oggi a meglio capire l’apertura non condizionata di un mondo giovanile che da destra sceglieva, fatto inaudito, cultura e non violenza, fumetti e musica, autoironia e voglia di confronto.
La Nd è vissuta vent’anni, più o meno tra ’74 e ’94: poi tutto è cambiato in Italia. Tarchi, oggi politologo al Cesare Alfieri a Firenze, tiene a sottolineare la differenza tra quella Nuova destra, che voleva dopo il tunnel del neofascismo oltrepassare la stessa categoria politica di destra, compiendo nuove sintesi e contaminazioni, e l’odierna Destra nuova cui, nel nuovo sistema bipolare, si sono a suo avviso adattati molti dei suoi amici di quei tempi giovanili, attorno a leader che quel travaglio hanno ignorato quando non direttamente contrastato.

[tratto da Avvenire del 14 aprile 2010]

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