Diorama

Mensile di attualità culturali e metapolitiche diretto da Marco Tarchi

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L’americanizzazione avanza

17 Luglio 2007 Redazione

 

1. L’americanizzazione avanza

 

In giro non se ne parla, ma un brutto colpo si sta preparando. Da qua al mese di maggio dovrebbe essere perfezionato, su richiesta di Clinton, un Accordo multilaterale sull’investimento dal quale gli americani si aspettano la possibilità di entrare in forze sul " mercato " della cultura europea. La questione è negoziata nel quadro non dell’Organizzazione mondiale del commercio ma dell’Organizzazione di cooperazione e sviluppo economico, e i documenti preparatori non lasciano dubbi su quel che è in gioco. L’obiettivo ufficiale è infatti l’eliminazione di tutti gli ostacoli alla libera circolazione degli investimenti. I paesi firmatari saranno tenuti ad accordare agli investimenti stranieri un " trattamento nazionale ", ovvero gli stessi vantaggi riservati agli investimenti nazionali. Inoltre si vedranno proibìre il mantenimento di un’assistenza economica particolare per le imprese nazionali. Infine, non avranno più il diritto di reclamare eccezioni culturali né di imporre agli investitori stranieri alcun impegno circa le modalità di realizzazione dei loro progetti. Il progetto prevede persino l’inclusione nella definizione dell’investimento della proprietà letteraria e artistica. In tal modo il diritto d’autore sarebbe assimilato al copyright americano, il che consente in particolare a coloro che hanno acquistato i diritti di un’opera letteraria di sfruttarla a piacimento senza badare al rispetto del dìritto morale. Se la cultura non viene collocata al di fuori di questo accordo, il principio dell’ "eccezione culturale ", cioè la sottrazione delle opere d’arte e di cultura alle costrizioni del sistema mercantile – grazie a un sistema di quote di diffusione e di obblighi di produzione – verrà polverizzato. Il che significa che gli statunitensi, tenuti fuori dalla porta nel campo della cultura all’epoca dei negoziati sul Gatt, potranno definitivamente aggirare le disposizioni vigenti, già assai male applicate, e imporre senza complessi la legge del più forte.

Con un accordo di questo tipo il fondo francese di sostegno al cinema, per limitarsi a una citazione, sarà svuotato di ogni significato, dato che gli americani potranno beneficiarne in misura proporzionale alla loro fetta di mercato, benché questo organismo sia stato creato da una legge del 1948 che escludeva le società di produzione il cui capitale non fosse in maggioranza francese o europeo. Nelle prossime settimane, del resto, dovrebbero essere presentati alle istanze europee testi che modificano quelle condizioni. Jéróme Seydoux, presidente della società cinematografica Pathé e azionista di maggioranza di " Libération ", ha dichiarato lo scorso giugno di attendersi " un ammorbidimento della regolamentazione che associa il sostegno pubblico al fatto che le opere siano girate in francese ". Impossibile essere più chiari.

La società degli autori e compositori drammatici, che promosse nel 1993 la petizione che consenfi di imporre dopo una dura lotta I’" eccezione culturale " agli accordi del Gatt, ha lanciato l’allarme. Nell’indifferenza generale. Anzi: mentre è previsto che nessuna legislazione europea potrà prevalere sull’Accordo multilaterale, l’Europa ha già scelto di arrendersi. Il 10 settembre 1996 un’ordinanza della Corte di giustizia delle Comunità europee ha infatti condannato il principio dell’accordo preventivo necessario alle catene americane installate in Europa sulle reti cablate belghe. In Francia, dove questa decisione ha fatto giurisprudenza, il Consiglio superiore dell’audiovisivo si è trovato costretto, lo scorso ottobre, ad annunciare che più nulla proibiva che le catene americane che non rispettano le quote europee (Cartoon, Disney Channel, Knowiedge, Viacom-Paramount, Fox Kids) venissero diffuse sulla rete cablata francese. L’allineamento del regime del cavo su quello del satellite comporterà una considerevole modificazione del panorama audiovisivo, giacché scaverà un fossato tra le reti hertziane gratuite, sempre obbligate a promuovere la produzione francese ed europea, e le reti via cavo e via satellite, ormai affrancate da questi o bblighi. La deregolamentazione forzata è dunque iniziata iniziativa degli stessi giudici dì Bruxelles.

Ceri frattempo, l’amerìcanizzazione del grande e del piccolo schermo prosegue su larga scala. Il cinema americano colloca già l’80% delle esportazioni in Europa, dove i telefilms made in Usa occupano il 60% del tempo di trasmissione televisivo. Nel 1995 le imprese statunitensi hanno realizzato 6,8 miliardi di dollari di incassi vendendo programmi sul mercato europeo, mentre gli europei esportavano programmi oltre Atlantico per soli 532 milioni di dollari. Ma ormai gli americani, decisi a trarre profitto dalla rivoluzione digitale, più ancora che programmi cercano di esportare reti televisive. Le majors hollywoodiane, dopo aver ammortizzato le loro reti tematiche su altri territori, approfittando della posizione dominante di cui godono di fronte ai produttori europei atomizzati e isolati, praticano il dumping e concludono faraonici contratti con gli operatori. Disney Channel ha già oltre 300.000 abbonati, " che non si pongono più il problema delle sue origini ", come dice finemente l’amministratore delegato. Di recente, Time Warner ha acquisito una partecipazione del 10% in Canal Satellite (che ha ben sette reti a capitale americano) e aperto un ufficio a Parigi. Mickey Kantor, negoziatore degli accordi Gatt, ha dichiarato nel 1993: " Gli Stati Uniti sono logicamente destinati a svolgere un ruolo preponderante in Europa ". La logica ha spalle solide. In realtà, gli americani vogliono controllare il 100% delle immagini nel mondo, perché sanno che dominare le immagini significa dominare la politica e il commercio. Un audiovisivo è per loro la seconda fonte di redditi. Dopo le armi.

 

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