Sinora le idee di Alain de Benoist hanno quindi potuto circolare soltanto in un microcosmo che non si riconosceva più in nessuna destra ma non amava la sinistra, venendo perciò osteggiato da entrambe. Ciò spiega perché, con l’eccezione de Il nemico principale, una dichiarazione di guerra al liberalismo e all’americanismo che suscitò gli allarmati moniti di Giorgio Bocca e Domenico Settembrini, i suoi libri tradotti in italiano (Oltre l’Occidente, Razzismo e antirazzismo, Il male americano, Le idee a posto, Democrazia: il problema, Come si può essere pagani?, sino ai recentissimi Comunismo e nazismo e La nuova evangelizzazione dell’Europa, pubblicati da Arianna) siano stati trattati con sufficienza dai recensori. Chissà se è venuto il momento di dichiarare chiusa questa ben poco democratica quarantena intellettuale. Al di là dei limiti e dei pregi specifici, il libro di Germinario ha il merito di risarcire Alain de Benoist della disattenzione dimostrata nei suoi confronti dall’editoria italiana. Disattenzione, non solo preclusione. Perché se per decenni è stato impossibile per un autore considerato di destra pubblicare nel nostro paese per sigle regolarmente distribuite nelle librerie, anche da quando la situazione è cambiata, per de Benoist le porte sono rimaste chiuse. Solo Marco Vigevani, editor della saggistica Mondadori, pensò all’indomani del terremoto elettorale del 1994 di recuperare un titolo di sicuro richiamo come Visto da destra, vincitore di un premio dell’Académie Française, che in Italia aveva esaurito le tremila copie stampate da Akropolis nel 1981 in pochi anni, malgrado la diffusione confidenziale. Ma l’indisponibilità del teorico della Nouvelle Droite a aggiornare i capitoli invecchiati di un tomo di oltre 700 pagine mandò in fumo il progetto. Nel 1996 Ponte alle Grazie pubblicò uno dei suoi saggi più impegnativi, L’Impero interiore, ma le vendite non esaltanti frustrarono l’ipotesi di inserire in catalogo altri suoi titoli. Così a tutt’oggi, malgrado le frequenti citazioni in articoli, convegni e libri e l’uscita già sette anni fa di un testo scientifico interamente dedicato alla sua analisi (Lorenzo Papini, Radici del pensiero della Nuova Destra, Giardini), il pensiero di Alain de Benoist è ignoto al pubblico italiano. O conosciuto di seconda mano. Il che, come noto, può essere ancor peggio ai fini della sua recezione.
Questa relegazione nel limbo ha fruttato al pensatore transalpino un’ininterrotta serie di incomprensioni e strumentalizzazioni. Benché Italo Mancini lo avesse definito nei primi anni Ottanta, pur criticandolo, un "lucido e forte maître à penser" dalla linea "sicura e coerente" (Il pensiero negativo e la Nuova Destra, Mondadori), la sinistra ha visto in lui solo un pericoloso seminatore di idee innovatrici nel campo asfittico e maledetto della destra radicale. Tutti i numerosi strappi da lui apportati al quadro ideologico dell’area di origine sono stata ridotti, sbagliando, a operazioni mimetiche di infiltrazione nella cittadella della cultura democratica, finalizzate a sovvertirla dall’interno. Come ha rilevato Giovanni Tassani in merito agli studi di Ferraresi e Revelli, da parte antifascista si è preferito "evidenziare uniformità e permanenze rispetto alla matrice" usando un metodo "tanto più facile e comodo quanto più povero di risultati", facendone il profeta di un "razzismo differenzialista" da lui sempre respinto o addirittura l’ispiratore del populismo di Haider, Bossi e Le Pen. Sino a scadere nella demonizzazione di chi, sulle pagine di MondOperaio, non ha esitato a scrivere che "in fondo al pensiero di De Benoist si intravedono le sagome agghiaccianti delle camere a gas".
Nel frattempo la destra, che pure avrebbe avuto un gran bisogno di confrontarsi con chi ne metteva a nudo l’incapacità di confronto con la modernità, oscillava fra goffi tentativi di inglobamento e scomuniche. Quando scoppiò sulla stampa di tutta Europa il caso della Nouvelle Droite, indicata con stupore e fastidio come la prima destra pensante ricomparsa sulla scena dopo decenni, Almirante cercò invano di avere de Benoist fra i relatori del congresso del Msi del 1979, mentre i suoi sodali si ingegnavano ad arginare la penetrazione delle idee ND fra i giovani del partito estenuati dal nostalgismo e dalle tentazioni autoritarie. Intanto l’area del tradizionalismo più estremo, estesa da Alleanza Cattolica ai seguaci di Evola, riempiva le pagine delle sue riviste e quelle del quotidiano missino di anatemi contro il filosofo pagano d’Oltralpe e la sua "classe dirigente di riserva" del fronte sovversivo guidato da comunisti e socialisti. Due atteggiamenti ribaditi e confermati in seguito, sino alla citazione di un’anodina frase debenoistiana nelle recenti tesi congressuali di Alleanza nazionale.
Sinora le idee di Alain de Benoist hanno quindi potuto circolare soltanto in un microcosmo che non si riconosceva più in nessuna destra ma non amava la sinistra, venendo perciò osteggiato da entrambe. Ciò spiega perché, con l’eccezione de Il nemico principale, una dichiarazione di guerra al liberalismo e all’americanismo che suscitò gli allarmati moniti di Giorgio Bocca e Domenico Settembrini, i suoi libri tradotti in italiano (Oltre l’Occidente, Razzismo e antirazzismo, Il male americano, Le idee a posto, Democrazia: il problema, Come si può essere pagani?, sino ai recentissimi Comunismo e nazismo e La nuova evangelizzazione dell’Europa, pubblicati da Arianna) siano stati trattati con sufficienza dai recensori. Chissà se è venuto il momento di dichiarare chiusa questa ben poco democratica quarantena intellettuale.