Diorama

Mensile di attualità culturali e metapolitiche diretto da Marco Tarchi

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L’Individuo è da sempre una parte del tutto

18 Luglio 2007 Redazione

 

L’individuo è sempre una parte di un tutto

L’Occidente cristiano e postcristiano ha sempre definito l’individuo facendo riferimento a una trascendenza (religiosa o profana) che fa dell’umanità il centro del mondo. In Asia, l’individuo è una componente dell’universo; non deve quindi essere definito in rapporto a ciò che lo oltrepassa, benái a ciò che lo contiene. L’individuo esiste, ma è indissociabile dalle sue appartenenze concrete. In cinese, " cosa " si dice letteralmente " est-ovest -, " paesaggio " si dice " alto e basso ". Il che rivela una comprensione del mondo in cui la relazione prevale sull’individuazione.

Di fronte ad una cultura occidentale che ha fatto della liberazione " dell’individuo il fondamento della vita "

sociale, il raffrenamento dell’io è in Asia la prima regola di comportamento in società: l’individuo rimane sempre un passo indietro rispetto alle frontiere degli altri. La psicoanalisi freudiana non ha mai potuto seriamente radicarsi in Giappone, perché l’autonomia psichica postulata da Freud là non viene considerata né un ideale né un valore. In Giappone, l’individuo

pagina quattro

isolato dal gruppo ha semmai la sensazione di essere espropriato del proprio io. " Le persone ", spiega lo psichiatra Dc;i Takeo, " temono cosi fortemente questa situazione che accetterebbero qualsiasi cosa pur di appartenere ad un gruppo "I. In Asia l’individuo è visto dunque prima di tutto come il centro di una rete di relazioni, ossia come parte di un gruppo, al cui interno vale soprattutto per l’immagine di sé che gli altri gli rimandano. Di conseguenza, la morale non è fondata sul peccato ma sulla vergogna, cioè sul sentimento di riprovazione espresso dagli altri (in contrapposizione al rimorso, che esprime soltanto il giudizio sfavorevole che si ha su se stessi). Il contrario della vergogna è la dignità o l’onore: perdere la faccia è peggio di qualunque altra cosa, giacché l’immagine esiste solo grazie allo specchio che la riflette,. La valorizzazione del dovere e del suo compimento vale per tutti gli ambienti sociali. Nel Giappone feudale, il samurai e il signore devono adempiere al proprio ruolo allo stesso titolo del contadino e del commerciante; altrimenti l’ordine sociale, immagine in miniatura dell’ordine del cosmo, non sarebbe rispettato.

In un libro edito nel 1981 che ha riscosso un grande successo in Giappone, The Japanese Tribe, Gregory Ciark ha spiegato il successo economico dei giapponesi con la loro appartenenza a una cultura fondata non sulla logica o sull’intelletto ma sull’istinto o sull’emozione. Una " cultura emotiva ", ha scritto, rende più capaci di adattarsi alle nuove situazioni e di rispondere efficacemente agli stimoli esterni di quanto non faccia una " cultura intellettuale " governata da idee razionali o da principio intangibili.

I giapponesi, proseguiva Ciark, hanno saputo conservare i valori emotivi e le relazioni interpersonali tipici delle società " tribali ", cioè tradizionali, e ciò spiega non solo il loro successo ma anche taluni dei loro tratti caratteristici: l’etica professionale, la lealtà di gruppo, la politica estera apparentemente priva di qualsiasi principio, la straordinaria vulnerabilità alle mode o alle paure del momento, l’assenza di senso di colpa nei confronti della storia, il carattere contrattuale ma nondimeno imperativo delle relazioni all’interno dell’impresa, la scarsa propensione per le lingue straniere, la credulità e il timore verso tutto ciò che non si lascia penetrare direttamente, l’insensibilità alla monotonia, la pazienza illimitata, la cortesia controllata, la disciplina, ma anche la collera quando viene presa una decisione senza consultarli (i proprietari agricoli sloggiati dalla loro terra hanno combattuto per oltre quindici anni contro la creazione dell’aeroporto internazionale di Narita), ecc.

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