Diorama

Mensile di attualità culturali e metapolitiche diretto da Marco Tarchi

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L’insopportabile

17 Luglio 2007 Redazione

4. L’insopportatile

 

Durante il solo scorso dicembre, il telefono mobile ha accumulato in Francia altri 850.000 abbonati. In totale, nel 1997 il mercato è più che raddoppiato per il secondo anno consecutivo; il che significa che circa un adulto su dieci ha già ceduto alla tentazione del " portatile .

In ragione di 5.000 nuovi abbonati al giorno, saremo presto a 10 o 15 milioni di telefoni cellulari in circolazione. Già adesso, il portatile ha modificato la vita quotidiana e il paesaggio urbano. Dall’atrio della stazione al ristorante, dalla spiaggia all’autobus, dall’ufficio alla strada, tutti i luoghi pubblici sono invasi. All’opera o al caffè, nelle sale di spettacolo o negli scompartimenti del treno, non c’è più un angolo dove non risuonino in ogni momento le suonerie intempestive dell’apparecchio ambulatorio; non c’è un luogo che non si trasformi in alveare, voliera, centrale telefonica; non c’è zona abitata in cui le conversazioni altrui non trasformino chiunque in guardone-ascoltatore suo malgrado. I " mi hai sentito? " sostituiscono i " mi hai visto? ", e il portatile è diventato uno status symbol, un obbligo sociale valorizzante, accessibile a tutti, dal disoccupato al manager. Le città sono ormai piene di zombi che si danno a soliloqui camminando, di mutanti affaccendati che parlano da soli il più forte possibile, l’orecchio incollato alla loro scatolina, e chiamano i conoscenti per comunicar loro il piacere che provano nel fargli sapere che non hanno nulla da dirgli, se non mostrar loro che il solo fatto di poterli chiamare prova quanto siano diventati importanti.

Questa strana moda obbliga a riflettere.

Il telefono portatile, sostituto di virilità infilato nella cintura o portato in un holster, che si estrae con la rapidità di una pistola per parlare più veloci della propria ombra, è evidentemente oggetto di tutti i transfert. Cordone ombelicale hertziano che garantisce la possibilità di essere collegati al mondo intero, è anche un simbolo di regressione per antonomasia. Ci si immagina che faccia " guadagnare tempo ", mentre invece è evidentissimo che ne fa perdere, suscitando una congerie di conversazioni inutili. Si pensa che rappresenti una nuova " libertà ", quando invece è lo strumento di un’alienazione totale, il carceriere di una libertà condizionata, che istituisce un dovere di " raggiungibilità " in un universo nel quale gli individui, ormai diventati oggetti dei propri oggetti, si stanno trasformando progressivamente in prolungamento del telecomando, in terminale del computer o in schiavi dell’elettronica.

Il portatile è prima di tutto esteriorità. L’altroieri si parlava da casa, ieri dalla macchina, oggi dalla strada. Discussioni professionali e conversazioni private vengono così gettate in pasto ai curiosi e ai vicini. E in questo modo che si forma l’uomo senza intimo, che esiste solo al di fuori di sé, per darsi in spettacolo in un mondo ove, appunto, non vi è più null’altro che spettacolo, immagini, suoni. E si creano degli esibizionisti della parola, che mettono in piazza la propria vita privata in attesa di tuffarsi in quella del vicini di strapuntino. Ma è anche il mito della disponibili totale: poter raggiungere chiunque, poter essere raggiunti in ogni momento in un’epoca in cui, essendo la vita privata influenzata dalla mentalità dell’economia la semplice idea di differire o rimandare qualcosa diventa insopportabile ad individui che si sono abituati a vivere nell’urgenza imposta e non accettano pi che le loro pulsioni non siano immediatamente soddisfatte. Infine, è la scusa perfetta per non intrattener più rapporti reali con le persone concrete, cioè per ridurre l’uomo allo stato di voce. Il portatile rassicura, dando l’illusione di mantenere un legame permanente con gli altri, e soprattutto nutrendo l’idea che si possa conversare a volontà pur facendo a meno di incontrarsi. Tagliato fuori da ogni esperienza diretta l’individuo viene cosi rimandato al proprio io.

Non intendiamo negare, beninteso, che il telefono portatile possa offrire un notevole aiuto a certe persone o professioni. Tuttavia, per l’immensa maggioranza dei suoi utenti, non serve a niente. Come tanti altri oggetti tecnici, rappresenta il modello del fabbisogno. La sua diffusione si basa del resto sull’idea che l’uomo sia un essere dai bisogni illimitati. E’ un’idea recente; in parte dovuta all’esplosione delle conoscenze. L’universo degli oggetti desiderabili è proporzionale al sapere: più se ne sa, più se ne vuole. L’arte dei fabbricanti consiste nel mantenere viva l’idea che non varrebbe più la pena di vivere se non si cedesse docilmente alla moda dei mimetismi tecnologici. Per questo essi si ingegnano a far credere che ciò che è utile a taluni è necessario a tutti — e prima di tutto a chi, prima dell’invenzione del portatile, ne faceva benissimo a meno. La pubblicità gioca a meraviglia con l’argomento, sforzandosi di suscitare un senso di colpa negli "attardati" che ancora non se ne vanno a spasso accompagnati dall’aggeggio. Verrebbe da chiedersi se esistesse una vita prima del telefono senza filo!

Il dato maggiormente degno di nota, in definitiva, è che il telefono portatile concentra in un certo senso tutte le manie dell’epoca, fa perdere tempo a chi immagina di guadagnarne grazie ad esso. Rende più dipendente chi crede di trarne una liberazione. Offre nuove possibilità di comunicazione a chi non ha nulla da comunicare. Consacrando il regno-dell’immediato, e la futilità come modo privilegiato di accesso al mondo, è il giocattolo dei XXI secolo. I ricercatori australiani hanno, sembra, già rilevato un aumento del 50% dei tumori al cervello fra i suoi più frenetici utilizzatori. Non c’è però alcun bisogno di ricorrere alle osservazioni della medicina per constatare che il portatile, in un’ampia maggioranza dei casi, contribuisce comunque a rendere perfettamente idioti coloro che lo usano.

Alain de Benoist

 

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