Diorama

Mensile di attualità culturali e metapolitiche diretto da Marco Tarchi

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L’intelligenza, argomento tabù

17 Luglio 2007 Redazione

 

3. L’intelligenza, argomento tabù

 

A proposito della scuola, della disoccupazione, della delinquenza o dell’immigrazione, gli osservatori hanno l’abitudine di esaminare tutti i parametri. Tutti tranne uno, che pure conta almeno q uanto gli altri: le capacità degli interessati. A quanto pare, è stabilito una volta per tutte che qualunque studente può entrare all’Università e ottenervi una laurea, che le, cause della criminalità sono esclusivamente culturali e sociali, che tutti possono ottenere un impiego qualificato, che gli insegnanti non hanno alcun bisogno di familiarizzarsi con la psicologia etnica e che tutti gli immigrati possono integrarsi armonicamente purché se ne dia loro l’occasione. Queste convinzioni di rado sono formulate in questo modo, ma fanno parte di quelle "evidenze" che sono alimentate dallo spirito del tempo. Il dramma è che sono false. Gli uomin! possono certo avere diritti politici uguali (giustificati dal fatto che sono tutti egualmente cittadini), ma non sono uguali per natura. Non hanno né le stesse qualità né le stesse capacità. Centinaia di risultati sperimentali accatastati in una serie di opere scientifiche periopiù pubblicate all’estero (e che ci si guarda bene dal tradurre in Francia) lo confermano abbondan temente: il livello d’intelligenza generale (il " fattore g ") è in larga misura ereditabile – l’ereditabilità definisce, in una popolazione, la parte di varianza interindividuale che spetta all’eredità – ., così come lo sono il temperamento, la personalità, le attitudini e i gusti. L’intelligenza generale, in altri termini, può essere considerata perlomeno in parte una variabile biologica.

In Francia, come in Unione Sovietica all’epoca di Lysenko, si continua a credere nell’onnipotenza dell’ambiente. Si diffida dei superdotati, si crede che il genio possa essere fabbricato e si pensa che non possa esistere la benché minima propensione innata alla delinquenza o una qualche base genetica delle differenze psicologiche fra i sessi. " Lo spirito del tempo è sociologico. Esso afferma che i comportamenti umani sono determinati dalla società ", ha osservato Aiain Finkielkraut su " Le Figaro " del 21 gennaio. Insomma, l’uomo è concepito in maniera metafisica: si pretende che gli individui siano sostanzialmente identici e che tutto quel che li distingue sia solo effetto delle circostanze, cioè dell’elemento transitorio e contingente. Come dice Finkielkraut, " essendo tutti l’Altro di ciascuno, i posti diventano interscambiabili e i ruoli reversibili. Le differenze sprofondano in un’omogeneità senza rimedio ". L’eredità delle capacità e dei comportamenti è come il sesso nell’inghilterra vittoriana: un tabù.

Non per questo, ovviamente, si deve "biologizzare" la vita sociale o negare l’influenza dell’ambiente e specificamente dell’ambiente sociale, perché, contrariamente a quel che spesso si crede, gli studi sperimentali dimostrano anche che l’ambiente familiare non esercita affatto influenze durature. In un buon ambiente, tutti possono migliorare il proprio rendimento, anche se nessuno può migliorarlo indefinitamente o allo stesso modo. Avrebbe tuttavia torto chi contrapponesse brutalmente l’ambiente alla " natura ": all’interno della famiglia, eredità e ambiente si confondono, e nella vita sociale l’ambiente è assai più spesso costruito che subìto: gli individui cercano spontaneamente, e poi modellano, l’ambiente nel ZLjaie le loro capacità potranno esprimersi meglio. &a questo punto di vista, la cultura prolunga la natura senza opporsi ad essa: i geni modellano i comportamenti e i comportamenti determinano gli ambiti di esperienza. A volte si dice che riconoscere l’influenza dell’eredità finirebbe coi diminuire il nostro libero arbitrio. Ma il determiniamo sociocuiturale lo limita altrettanto: si è più responsabili verso se stessi se tutti i mali vengono . tati alla " società "? Infine, si ritiene che rendendo l’ambiente più omogeneo si renderanno le capacità più uguali. In realtà, non si farà altro che rendere più evidenti le differenze innate: più l’ambiente diventa uniforme, più l’ereditabilità aumenta.

Riconoscere l’ineguaglianza delle capacità solleva nondimeno seri problemi. Il principale sta forse nell’importanza che le società tecniche assegnano all’intelligenza astratta. In passato, quest’ultima non veniva considerata isolatamente: il valore di un individuo non dipendeva solo dalla sua intelligenza ma anche da altri tratti della sua personalità. La società, d’altro canto, era strutturata in maniera tale che tutti vi trovavano il proprio posto: anche lo scemo del villaggio svolgeva a modo suo un ruolo nella vita sociale. Non cosi accade oggi. li principale fattore di produzione (e di ascesa sociale) non è più la coppia macchina-lavoro, bensì l’intelligenza, la competenza e la creatività. Il progresso tecnico tende a far emergere una società "immateriale" che ha sempre meno bisogno di lavoratori non qualificati. è una della cause, fra le tante, della crescita della disoccupazione. Ma è anche una delle ragioni per cui la classe politica fa tanta fatica a fronteggiare la fine della piena occupazione. Da questo punto di vista, i fenomeni di emarginazione ai quali stiamo assistendo oggigiorno sono assai diversi dalla vecchia lotta di classe. Finiscono coi suddividere una società che un tempo era a forte mobilità sociale fra un piccolo numero di individui qualificati, i quali si adattano facilmente a tutte le evoluzioni tecniche, e una massa crescente di non-qualificati che diventano drammaticamente inutili. Diventa pertanto grande il rischio che si crei una nuova élite cognitiva, quella dei titolari di uno status, portata a tenersi radicalmente in disparte rispetto alla massa dei cittadini votati all’emarginazione perché la società non ha più bisogno delle loro capacità. Sarebbe l’ora di tener conto dell’intelligenza, ma anche di non ricondurre tutto ad essa.

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