Diorama

Mensile di attualità culturali e metapolitiche diretto da Marco Tarchi

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Né disprezzo, né rimpianti

24 Dicembre 1998 Redazione

Vista in un’ottica non conformista a tanti anni di distanza, l’epopea di maggio rivela tutti i suoi limiti – primo dei quali, come argomentava già a caldo Alain de Benoist, quello di essere rimasta psicologicamente condizionata dalla tavola dei valori di quella società borghese che a parole ambiva ad abbattere – ma conserva ancora qualcosa del fascino delle inquietudini corrosive che la percorsero. Vista in un’ottica non conformista a tanti anni di distanza, l’epopea di maggio rivela tutti i suoi limiti – primo dei quali, come argomentava già a caldo Alain de Benoist, quello di essere rimasta psicologicamente condizionata dalla tavola dei valori di quella società borghese che a parole ambiva ad abbattere – ma conserva ancora qualcosa del fascino delle inquietudini corrosive che la percorsero. Quando le celebrazioni del trentennale del Sessantotto erano al culmine, la scorsa primavera, ci siamo ben guardati dall’intervenire sull’argomento: sfumata per motivi di circostanza la possibilità di partecipare a una tavola rotonda organizzata a Roma dal "Manifesto", ci siamo attenuti alla regola del silenzio. Lo abbiamo fatto per almeno due buoni motivi: da un lato perché il clima degli anniversari, quando investe vicende che hanno coinvolto umori diffusi, raramente è propizio a revisioni critiche aliene dal sospetto della captatio benevolentiae degli ascoltatori o dei lettori; dall’altro perché nell’atmosfera rievocativa tutta imperniata sui protagonisti del tempo, o addirittura da loro creata e orientata, ci saremmo sentiti degli intrusi o, nella migliore degli ipotesi, degli ospiti occasionali e un po’ goffi, chiamati a recitare una parte – quella dell’ex nemico più o meno pentito – in cui ci era difficile calarci.

Quella riservatezza non copriva però un senso di estraneità agli eventi che stampa e tv richiamavano insistentemente alla memoria. Per noi personalmente, e per buona parte dei componenti del nucleo fondatore di "Diorama", i fatti di Maggio avevano avuto un significato importante; non perché ci avessero offerto un ruolo diretto (eravamo tutti troppo giovani sia per parteciparvi che per essere tentati di rimpiangerli come "occasione perduta"), ma perché il loro esplodere aveva coinciso, per alcuni di noi, con le prime manifestazioni di una passione politica destinata a durare, e per gli altri era assurta nello spazio di pochi anni a pietra di paragone di quella Rivoluzione – rigorosamente scritta con la maiuscola e piena dei più svariati contenuti – di cui tutti ci sentivamo propugnatori. Per invidia del Sessantotto, contro di esso e a causa di esso, e persino con un malcelato, utopico desiderio di riprenderne e correggerne la direzione di marcia, sarebbero nate le nostre iniziative degli anni Settanta. Era un frutto – anche – della contaminazione nella rivolta degli studenti la forte opposizione che avremmo svolto, dall’interno, contro la mentalità, gli scopi e i metodi di quel microcosmo neofascista a cui, per eredità familiare, per reazione o per gusto di provocazione eravamo appena approdati. E lo erano ancora di più una rivista underground come La voce della fogna, i concerti di "musica alternativa" o i Campi Hobbit: tutte avventure che testimoniavano un’apertura gergale e comportamentale senza riserve alla generazione cui appartenevamo e con la quale, sia pure da posizioni di consapevole minoranza, volevamo a tutti i costi dialogare. La sensazione di essere figli del nostro tempo non meno che di un’ideologia ce la siamo, del resto, portati appresso troppo a lungo per poter liquidare certe rievocazioni dell’"anno memorabile" con una semplice e ingenerosa alzata di spalle.

L’idea delle Editions du Labyrinthe di aprire una finestra su quel passato pubblicando un volume intitolato Le Mai 68 de la Nouvelle Droite ci è dunque parsa assolutamente appropriata. La circolare che invitava un certo numero di animatori della futura "Nuova Destra" europea a collaborare all’opera chiedeva semplicemente a ciascuno di descrivere il proprio personale Sessantotto: come e dove lo aveva vissuto, quale impatto avevano avuto gli eventi del Maggio sulla sua esistenza, che impressioni gli avevano suscitato. Il tutto era condito da un incitamento a non filosofeggiare troppo con il senno di poi e a trasmettere al lettore una testimonianza quanto più possibile autentica. Una volta pubblicato, il libro ha dimostrato che non tutti si erano attenuti strettamente alle disposizioni ricevute: qua e là, la tentazione di abbandonarsi a riflessioni prospettiche aveva prevalso sulle preoccupazioni di immediatezza. Ciò non ha però nuociuto, nella maggioranza dei casi, all’efficacia dei racconti, e l’affresco memorialistico che ne è risultato ci sembra offrire un panorama interessante degli effetti che il Sessantotto ha prodotto su alcuni "intellettuali militanti" che, pur non rivendicandone l’ascendenza, non ne fanno il capro espiatorio della crisi che travaglia le odierne società europee. La scelta dei contributi del volume qui tradotti dimostra che la rivolta del Maggio ebbe influenze tangibili e impreviste anche al di fuori della cerchia degli adepti: tra gli avversari suscitò conversioni, innescò sdegni, tenne a battesimo vocazioni militanti, incuriosì menti propense alla ricerca; in alcuni degli iniziali compagni di strada determinò autocritiche radicali. Le pagine che seguono offrono un variegato catalogo di quelle reazioni, accomunate dalla speranza (frustrata) che la contestazione giovanile potesse segnare un momento di effettiva innovazione in un dibattito politico e ideologico ingessato dalle tragiche conseguenze delle due guerre mondiali.

Vista in un’ottica non conformista a tanti anni di distanza, l’epopea di maggio rivela tutti i suoi limiti – primo dei quali, come argomentava già a caldo Alain de Benoist, quello di essere rimasta psicologicamente condizionata dalla tavola dei valori di quella società borghese che a parole ambiva ad abbattere – ma conserva ancora qualcosa del fascino delle inquietudini corrosive che la percorsero. Chi intende combattere oggi la mentalità utilitaristica, l’egoismo sociale e i progetti di omogeneizzazione culturale che sono inscritti nella società consumistica non ha motivo di rimpiangere un’esperienza fitta di ingenuità, contraddizioni e eccessi come fu quella sessantottina; ma nemmeno di liquidare con espressioni di disprezzo un movimento che, se non altro, ebbe il pregio di affermare che "ribellarsi è un diritto", quando l’ordine costituito appare soffocante e impenetrabile al dissenso. Parole che suonano, oggi più che mai, sacrosante.

[tratto da Diorama letterario 220]

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