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Mensile di attualità culturali e metapolitiche diretto da Marco Tarchi

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NUova sintesi o incubo climatizzato?

18 Luglio 2007 Redazione

 

Nuova sintesi o Incubo climatizzato?

Secondo Jean Baudriliard, che distingue tra mondiale e universale, il Giappone " non ha perso niente della sua specificità, checché se ne dica [ ] 0 meglio: ha realizzato la sua mondializzazione (tecnica, economica, finanziaria) meglio di tutti gli altri, senza passare attraverso l’universale (il succedersi delle ideologie borghesi e delle forme dell’economia politica). Si può anzi supporre che proprio per il fatto di non aver avuto a che fare con l’universale esso abbia avuto tanto successo, associando direttamente il singolare (la potenza rituale) e il mondiale (la potenza virtuale) "Il. Tale sembra essere anche l’opinione di Régis Debray, il quale scrive: " I giapponesi sono già nel XXI secolo. Essi ignorano la vecchia favola degli Antichi e dei Moderni e l’alternativa dei babbei: il chiuso contro l’aperto. Più si modernizzano, più si arcaizzano. E proprio perché coltivano la propria originalità, la propria eccezionalità storica, assorbono così bene tutti gli apporti esterni

Resta tuttavia da capire se il Giappone saprà rinegoziare il contratto sociale di fine anni Cinquanta, che gli aveva consentito di sperimentare una crescita economica eccezionale pur preservando coerenza sociale, stabilità politica e identità culturale. Saprà farsi campione di una nuova sintesi specifica? Sarà capace di dotarsi di una nuova identità e di un modello portatore di senso, anche se oggi non può più far riferimento a un modello esteriore avvalorato dall’esperienza?

La risposta a questa domanda è vitale, perché non t<?cca solamente il Giappone ma anche la considerazione che tutti i popoli possono oggi avere della modernizzazione.

Lee Yuan Kew è fiducioso. " Penso che l’influenza americana diminuirà via via mentre noi ci svilupper?mo ", assicura. – Non credo che, diventando più ricchi, seguiremo sistematicamente lo stile degli americani, porteremo le stesse magliette, gli stessi jeans, né mangeremo gli stessi hamburgers. Penso semmai che svilupperemo il nostro stile. La nostra sfida consiste proprio nell’evitare che le nostre tradizioni si erodano sotto l’aggressione permanente delle tecniche di marketing, che incitano ad acquistare, buttare, cambiare in continuazione. Quel che è buono per l’individuo non lo è necessariamente per la società Se le nostre civiltà sono sopravvissute per migliaia di anni alle guerre, alle carestie, alle epidemie, è stato grazie alla famiglia o alla cerchia familiare allargata. Noi vogliamo conservare questo

sistema e pensiamo che, fondamentalmente, il compito dello Stato e del governo sia quello di rendere la famiglia più forte, più solida. A Singapore [ ] ogni volta che possiamo, cerchiamo di mantenere vivi i legami familiari dietro i valori economici [ ] Lo Stato americano è incapace di proteggere i suoi cittadini dalle devastazioni dell’individualismo, della violenza e della droga. In Asia, noi impicchiamo i trafficanti di droga, invece di consentir loro di distruggere la famiglia ".

Tutto questo è bello e buono. Ma non si può dimenticare che la Singapore dei " valori asiatici " è anche quell’inferno climatizzato, quel – migliore dei mondi " in cui il diritto di girare in bicicletta si acquista per 2.800 dollari, i libretti di circolazione vengono venduti all’asta ogni mese, è proibito sotto minaccia di multa fumare per strada o importare gomma da masticare, la natura è stata quasi completamente distrutta e il paesaggio urbano si riassume in un succedersi di torri di vetro e di magazzini di materiale elettronico.

Alain de Benoist

NOTE

  1. Cfr. in particolare Robert Guiliain, Le Japon, trolsième grand, Seuil, Paris 1969; Christian Sautter, Japon, le prix de la pulegance, Seuil, Paris 1973; Constance Hoiden, lnnovation: Japan Reces Ahead as US Faltere, in – Science -, 14 novembre 1980, pagg. 751-754; Ezra Vogel, Le Japon, médallio d’or, Gallimard, Paris 1980; C. Johnson, MITI and the Japanese Miracie, MIT Press, Harv,,rd 1982; D. Okimoto, Between MITI and the Market, Stanford University Press, Stanfórd 1989; 1. Miyasaki, The Japanese Econ<> my- Whát Makes lt Tick, Simul Press, 1990; Michaèi Sarei, Growth In East Asia. What We Can and Cannot lnfer, lnternational Monetary Fund, Washington 1996.

  2. Paul Krugma, The Myth of Asia’s Miracie, in – Foreign Affairs – novembre-dicembre 1994.

     

  3. Cfr. ad esempio Jim Roher, Asia Rising, Simon & Schuste,, New York 1995

     

  4. Tranne che negli ambienti liberali, che continuano ostinatamente ad assimilare i valori asiatici ali"’oscurantismo", come fa ad esempio Robert Dujarric, il quale scrive in tono serio che – il boom economico dell’Asia è il risultato delle influenze occidentali che hanno avuto ragione delle rigidità smiali imposte dalla cultura confuciana " (confuclus ou Dougias MacArthur?, in – Commentaire -, estate 1997, pag. 387). " I "valori asiatici" -, aggiunge Dujarric, " hanno ritardato il progresso economico e politico di quella regione per seli [ ] Di fatto, l’Asia confuciana ha conosciuto un successo ecocnoomico superiore a quello di altre regioni non occidentali, perché la sua cultura è più ricettiva ai valori ancestrali dell’Occidente di quanto non lo siano altre civiltà – (síc). Si veda anche il dibauito fra Charies Hampden-Turner e Gerald Segai, Asia’,9 Infinite Game, in – Prospect -, marzo 1997, pagg. 16-19.

  5. Cfr. Les entretien!& de Confuclus, trad. di Pierre Ryckmans, Gailimard, Paris 1987. Cfr. anche Etienne Badimont, Socrato ou Contuclus. Essal sur le divenir de la Chine et de l’Occident, Labénaudie, Paris 1996.

  6. Ddi Takeo, Le jeu de l’induigence, Syco more-LMiathèque, Paris 1982.

  7. Per il caso del Giappone, cfr. il classico saggio di Ruth Benedict, Le chrysanthème et le sabre, Philippe Picquier, Paris 1987 e 1995 (" L.,er son nom ", pagg. 170-203) [tr. it. Il crisantemo e la spada, ‘Dedalo Bari 1989; Rizzoli, Milano 1991].

  8. L’insegnamento e ementare si è sviluppato in Giappone sin dagli n,zi del XVIII secolo. All’alba dell’era Meiji, quattro bambini su cinque erano già alfabetiz,,ati. Sin dal 1871 fu creato un ministero delEducuione e il libro di Yukichi Fukuzawa Incoraggiamento a Imparare, pubblicato nel 1872, venne venduto in oltre sei milioni di copie. L:eccellenza e il carattere fortemente selettivo (la – guerra degli esami -) del sistema giapponese sono oggi ben noti. Nel 1976, i giornali giapponesi avevano una tiratura globale di 61 milioni di copie, ovvero due volte di più che negli Stati Uniti come media per (Pagina 10) abitante. Gli editori giapponesi pubblicano ogni anno altrettanti libri quanti ne stampano gli editori americani per una pubblicazione grande il doppio.

  9. Max Weber, – Confucianisme et puritanisme -, in Sociologle dea religione, Gallimard, Paris 1996, pag. 381 [ed. it. Sociologia delle religioni, Edizioni di Comunità, Milano 1982]. Cfr. anche Morishima Michio, Capitaliame et confucianiame, Fiammarion, Paris 1987. "

  10. Anche lo Stato ha tuttavia svolto un ruolo nella modernizzazione del Giappone, il che può apparire paradossale, perché la struttura sociale di tipo olista è per natura ostile alla centralizzazione statale del potere. Inoltre, l’esistenza di potenti corpì intermedi è in genere di ostacolo alla modernizzazione. Per rendere conto di questo duplice paradosso, Keiichi Sakuta (Quand l’ancienbrée le nouveau. Le rble dea solidarités traditionnellea dans la modernisation du Japon, in " Le Débat ", gennaio 1983, pagg. 55-68) ha avanzato la tesi secondo cu ‘ i, in Giappone, i gruppi intermedi non sarebbero mai stati totalmente autonomi, il che avrebbe prodotto una canalizzazione delle lealtà verso lo Stato. Nell’epoca feudale, contrariamente a quanto si osserva in Occidente, i vassalli di un signore giapponese erano anche vassalli del re. D’altronde, il sistema feudale gia=@ se non era tanto contrattuale quanto sostanzialmente "fam . Sulle differenze tra il feudalesimo occidentale e il feudalesimo giapponese cfr. anche Shmuel Elsenstadt, Lea différents programmes de la modernità le paradoxe du Japon, in Raymond Boudon e Pierre Chaunu (a cura di), Valeurs et modernlté. Autour de Alain Peyrefitte, Odile Jacob, Paris 1996, pagg. 101 -1 12).

  11. Frangois Julien, – L’eri du détour ", in La société en quote de valeurs, Laurent du Mesnil, Paris 1997, pag. 150. Cfr. anche Franpois Juiien, Procès ou création. Une lntroduction à la pensée chinoise, Livre de poche, Paris 1986; ldem, La propension des choses. Pour une histolre da l’efficacitá en Chine, Livre de poche, Paris 1993; Frangois Kircher, Les trente-slx stratagèmes. Traité secret de strategie chinoise, Lattès, Paris 1991, e Rivages, Paris 1995. "

  12. Cfr. Samuel Eisenstadt e Eyal Ben-Ari (a cura di), Japanese Models of Conflict Resolution, Kegan Paul, London 1990.

  13. Cfr. Shumpei Kumon, Japan as a Network Society, in Shumpei Kumon e Henry Roso,,ski (a cura di), The Political Economy of Jan,,,oi. 3, Stanford University Press, Stanford 1992, pagg. 109-141.

  14. Aneddoto rivelatore: negli anni Trenta, la diffusione in Giappone del celebre falso antisemita I protocolli del savi di Sion ha avuto l’effetto non dì provocare antisemitismo, ma di incitare il ministro degli Esteri giapponese a cercar di contattare quella " gente tanto poten"te – con la speranza di farne degli alleati.

  15. in Le Figaro -, 6 febbraio 1997, pag. 6. Samuel P Huntington, The West: Unlque, Not Universal, in " Foreign Affairs ", novembre-dicembre 1996, pagg. 40-41. Lo stesso autore, come noto, annuncia peraltro conflitti basati sulle diffeenze di cultura e di civiltà (Samuel P. Huntington, Lo scont,. delle civiltà ‘

  16. Il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano 1997). Questa tesi, che qui non esamineremo, ci sembra abbastanza discutibile. Nella storia raramente i fattori culturali hanno determinato da soli la specificità dei confitti; è stata semmai la specificità dei conflitti a condizionare il ruolo dei fattori culturali. Le differenze di cultura, in altri termini, non sfociano in scontri a meno che le civiltà non interpretino preventivamente i loro valori culturali in funzione di foro obiettivi politici.

  17. lbidem: p g. 3 .

  18. Ibidem pag. 39.

  19. Cfr. Robert N. Bellah, Tokugawa Religion. The Values of PreIndustria] Japan, Free Press, Chicago 1957; Chie Nakane, La société japonalse, Armand Colin, Paris 1974; Keiyo Yamanaka, Le Japon au double visage, Denoél, Paris 1997.

  20. Cfr. Tsurumi Shunsuke, Japanese Dernocracy and the American Occupation, in " Democracy -, gennaio 1982, pagg. 75-88. "

  21. Cfr. in particolare Satoshi Kamata, Japon, l’envers du miracie, Fran,;ois Maspéro, Paris 1982; André L’Hénoret, Le clou qui dépaese. Hiatolre du Japon d’en bas, La Découverte, Paris 1993; Jean-Frangois Sabou ret, Le Japon en vola de normalleation?, in Sciences humaines -, ottobre 1994, pagg. 10-15; Jean-Marie Bouissou, Eric Seizelet e Frangois Gipouloux, Japon: le déclin?, Complexe, Bruxelles 1996; Christian Sautter, La France au miroir du Japon. Croissance ou déclln, Odile Jacob, Paris 1996; JeanMarie Bouissou (a cura di), L’envers du consensus. Les conflits et leur gestion dons le Japon contemporain, Presses des Sciences politiques, Paris 1997.

  22. Questo modello si caratterizza per il controllo precodificato della qualità e per la tecnica di gestione a flussi tesi, che economizza tempo grazie alle consegne immediate e spazio grazie all’assenza di scorte di magazzino. All’interno di esso, le multinazionali indu. striali sono circondate da una nebulosa di subappaltatori, in cui la domanda guida la produzione, mentre nel modello " fordista " la politica dell’offerta impone la standardizzazione dei prodotti fabbricati da multinazionali mercantili integrate verticalmente.

  23. Akira Asada, Faut-il avolr peur du Japon?, in " Le FigaroMagazine ", 29 giugno 1991, pag. 77.

  24. Eric Seizelet, Evolution de la société japonalse et des valeurs, in – Futuribies ", gennaio 1997, pag. 36.

  25. Jean Baudriliard, Le mondial et l’universel, in " Libération 18 marzo 1996, pag. 7.

  26. Régis Debray, Post-scriptum à un ami moderne, in – Le Monde diplomatique maggio 1997.

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