Diorama

Mensile di attualità culturali e metapolitiche diretto da Marco Tarchi

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Perché si vota?

18 Luglio 2007 Redazione

L’antagonismo sinistra-destra si è a lungo ancorato ad un antagonismo sociale (gli "operai" contro i "borghesi"). Oggi ciò è sempre meno vero. In Francia, quella che un tempo veniva chiamata bipolarizzazione tende a lasciare il posto al "voto frammentato". La dicotomia destra-sinistra è meno marcata (circa un terzo dell’elettorato le sfugge), l’adesione ai movimenti e ai progetti "di governo" è meno forte, il voto si fa evanescente. La recente attualità porta a chiedersi che cosa determini le scelte elettorali. In passato, è stato possibile identificare taluni fattori suscettibili di orientare il voto, come l’ambiente sociale, le convinzioni religiose, la struttura familiare o il tipo di habitat Si è inoltre scritto molto sull’"identificazione di partito>,, la quale funziona come uno schermo percettivo, che filtra la visione del mondo di elettori tanto più disposti a votare per un partito quanto più fortemente si identificano in esso (negli Stati Uniti vi è l’esempio dei "repubblicani>, e dei "democratici>,). Questi modelli deterministici sono stati progressivamente rimessi in discussione a partire dagli anni Settanta, soprattutto dai sostenitori dell’analisi economica della vita politica. Secondo questi ultimi, l’elettore si definisce come un attore razionale che cerca di massimizzare di volta in volta la propria utilità individuale e che opera sul "mercato politico,> una scelta strategica paragonabile a quella di un consumatore che desidera acquistare un prodotto in un negozio. E il paradigma utilitarista dell’homo oeconomicus. Questa ipotesi di coerenza in realtà non e sostenibile, per la semplice ragione che le motivazioni di voto non scaturiscono praticamente mai dalla previsione razionale e che la vita democratica mette sempre in gioco qualcosa di più degli interessi particolari. La democrazia Implica infatti procedure di cooperazione, le quali presuppongono la capacità dei cittadini di obbligarsi vicendevolmente, di legarsi gli uni agli altri. Queste prassi di solidarietà non si riducono né all’imposizione di una costrizione legale (logica dello Stato), né alla messa in opera di incentivazioni selettive (logica del mercato). Esse discendono dalla natura stessa dell’uomo, che è un essere sociale.

A che punto stanno le cose oggi? In primo luogo, siamo passati da una democrazia del confronto, nella quale l’esercizio della politica si organizzava attorno alla competizione tra partiti e progetti, a una democrazia dell’imputazione in cui, a causa dell’avvicinarsi dei programmi, vengono giudicate prima di tutto delle persone, e il giudizio si svolge sotto l’influenza dei media, in base a criteri che sono sempre meno politici. Si passa così da un regime politico della responsabilità a un regime individuale della responsabilità,,, ha scritto Pierre Rosanvallon. Nel contempo si assiste alla decomposizione del tessuto sociale e alla disintegrazione dei grandi corpi intermedi che sino a ieri producevano élites radicate, che rappresentavano una pluralità di ambiti sociali, a profitto di élites politico-massmediali sempre più unificate, centralizzate e separate dal popolo.

Del resto, contrariamente a quanto accade negli Stati Uniti, in Francia la democrazia non è mai stata basata sul confronto degli interessi o sulla negoziazione delle domande e dei bisogni, bensì su una rappresentanza più o meno obiettiva del concetto di interesse generale, il che spiega il ruolo assunto dallo Stato (in quanto modello del "governo razionale) rispetto alla società civile. Il concetto di interesse generale oggi si sta però frantumando, a causa del massiccio emergere di una preoccupazione di identità nella vita politica e sociale. Questo fenomeno va di pari passo con la ripulsa dei cleavages che in precedenza strutturavano il paesaggio politico, in particolare la frattura di classe. Ormai si vota sempre più in funzione di un’appartenenza che un tempo era considerata ininfluente sulla definizione della cittadinanza: l’identità sessuale, comunitaria o etnica, la simpatia per i cacciatori o per l’ecologia, diventano politicamente significative. Il voto esprime allora innanzitutto un desiderio di "autenticità", di valorizzazione delle differenze e di riconoscimento di singolarità vissute come immodificabili, in relazione ad una certa idea di "autorealizzazione". Non si tratta di un "pluralismo" nel senso classico del termine, vale a dire della ricerca di un equilibrio fra gli interessi dei gruppi che emergono spontaneamente dalla società, difesi principalmente in termini di diritti individuali; anzi, ogni idea o prassi che implichi una forma di unità astratta viene rigettata. Questa messa in disparte dei tradizionali punti di frattura esprime piuttosto, prima di tutto, la cancellazione del concetto di una identità comune a tutti i cittadini, poi una profonda incertezza su ciò che può e deve organizzare lo spazio pubblico, con il grande rischio che il cittadino venga espropriato di ogni capacità di influenza sulle grandi scelte collettive globali. Sul versante positivo, in compenso, questa evoluzione mostra un ritorno in forze dei valori a danno degli interessi. La differenza tra le due categorie è nota: gli interessi sono negoziabili, i valori no. L’ascesa di valori che legittimano la differenza trasforma oggi in profondità sia la vita sociale che le prassi politiche.

L’antagonismo sinistra-destra si è a lungo ancorato ad un antagonismo sociale (gli "operai" contro i "borghesi"). Oggi ciò è sempre meno vero. In Francia, quella che un tempo veniva chiamata bipolarizzazione tende a lasciare il posto al "voto frammentato". La dicotomia destra-sinistra è meno marcata (circa un terzo dell’elettorato le sfugge), l’adesione ai movimenti e ai progetti "di governo" è meno forte, il voto si fa evanescente. Il principale spartiacque non si colloca più tra categorie sociali che hanno interessi opposti ma tra i cittadini e le élites (la Nuova Classe) incarnate dagli stati maggiori dei partiti, dai proprietari dei mezzi di informazione e dai pubblici poteri. Ciò spiega il fatto che la Francia è oggi governata da maggioranze che rappresentano appena un quinto del corpo elettorale. Sfortunatamente, nessun partito sembra disposto a trarne un insegnamento.

[tratto da Diorama Letterario 214]

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