Diorama

Mensile di attualità culturali e metapolitiche diretto da Marco Tarchi

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polo, lega

18 Luglio 2007 Redazione

Polo-Lega, l’impossibile alleanza

Sbagliando, non sempre s’impara. Lo dimostra l’atteggiamento che i molti osservatori che l’avevano data più volta per spacciata hanno assunto da qual che tempo a questa parte nei confronti della Lega Nord. Sono bastati due dati di cronaca – la buona tenuta del Carroccio nella tornata elettorale amministrativa d’autunno e la decisa opposizione dei suoi parlamentari alla Finanziaria – per far tornare a par lare, come se niente fosse, giornalisti e uomini politici di possibili (anzi, quasi già avvenute) convergenze tra Polo e Lega. Il tutto, all’ombra della semplice constatazione di una somiglianza – se sociologica o ideologica, non é dato sapere – fra i due elettorati che, di fronte al rischio di una crescente egemonia ulivista (il "regime" paventato da Galli della Loggia), dovrebbe portarli a far fronte comune per sbarrare il passo alla sinistra.

Se non si é influenzati dalla passione di parte – o, se così suona meglio all’orecchio degli ammiratori del bipolarismo all’ingiese, dal whishful thinking -, é difficile prestar fede a un simile scenario. Che non tiene conto di alcune caratteristiche immodificabili del fenomeno leghista e delle leggi che governano la dinamica di qualunque sistema politico.

Partiamo dalle seconde. In un sistema competitive – legato, cioé, alla necessità delle forze in concorrenza di guadagnarsi quote di consenso fra gli elettori, le possibilità di successo di ogni partito sono condizionate dalla disponibilità di uno spazio politico sufficientemente ampio e poco (o mai) frequentato da garantire un adeguato sfruttamento. La convinzione della maggior parte degli attori che calcano la scena dell’odierna politica italiana é che, dopo Tangentopoli e il crollo di Dc e formazioni laiche, lo spazio da occupare sia quello che va dal centro verso quelle che Sartori ha a suo tempo definito le "mezze ali".

Da ciò la corsa alle conversioni moderate che dal 1993 in poi ha visto in pista tutti gli ex che la penisola conosce: ex comunisti, ex fascisti, ex radicali, ex verdi, ex magistrati e via dicendo. Si dà il caso però che questa caccia all’occupazione delle posizioni media ne, già avviata dal crollo del socialismo reale, abbia lasciato sguarnito un ampio settore di opinione che per decenni aveva preferito, malgrado la ridotta convenienza, schierarsi al fianco di quei partiti che sbandieravano soluzioni "estreme" ai guasti di cui soffri va l’Italia. In quella fascia di società non gravitavano solo elettori nostalgici (ai quali può senz’altro bastare l’offerta sostitutiva di Rifondazione Comunista o del Movimento Sociale-Fiamma Tricolore), ma anche parecchi elettori solitamente definiti "di protesta", "antisistemici", allergici ai modi e alle forme della politica fondata sulla mediazione e sul sistematico ricorso al compromesso.

Non é facile pensare che l’atteggiamento di questo tipo di cittadini sia stato modificato da Tangentopoli.

Si può supporre, anzi, che il loro disgusto verso la classe politica sia stato robustamente alimentato dal lo spettacolo delle incriminazioni, delle fughe e dei processi. Ed é altamente improbabile che essi si sentano attratti da partiti sempre più moderati,. misurati nel gergo e non di rado ipocriti. Il potenziale di pro testa della società italiana, per dirla con altre parole, non si é affatto estinto con il passaggio alla presunta Seconda Repubblica: cova sotto la cenere e utili a le occasioni utili – dal sostegno al Di Pietro "tribuno del popolo" sino all’astensione di massa – per manifestarsi e inviare segnali.

La Lega, questo, sembra averlo capito; e perciò, da quando si é vista sbarrata da Berlusconi la strada verso la guida del rassemblement anti-sinistra prefigurato nelle amministrative del 1993, dopo aver fatto buon viso a cattivo gioco accettando un’alleanza che nel medio termine certamente non le giovava, ha scelto di porsi fuori, e contro, il sistema dell’alternanza tra centrosinistra e centrodestra che si profilava. Benchè si possano comprendere le ragioni che hanno fatto gridare il Polo al tradimento, non era difficile intuire che prima o poi il partito di Bossi avrebbe adottato una simile strategia. Come avrebbe potuto il suo codice genetico, populista nel senso più puro della parola, adattarsi ad un corpo estraneo come l’antagonismo destra-sinistra, cardine del patto Fi-An-Ccd? Quale vantaggio avrebbe ricavato, una forza abituata a pensarsi come movimento e ad incarnare umori polemici, dal logorarsi nelle alchimie del sottogoverno In nome di quali obiettivi il.suo leader, "fondatore-predicatore" slegato da qualunque obbligo nei confronti di un’ideologia e quindi abituato ad avere sempre le mani libere, avrebbe dovuto sopportare l’ombra delle altre primedonne della coalizione? Prima rompendo l’alleanza di governo, e poi incamminandosi verso la secessione, la Lega ha dimostrato il suo bisogno strutturale di isolamento dalle altre forze politiche. Condannando in blocco tutti i concor-

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renti, si é candidata ad incarnare un’alternativa radicale al sistema "romano", sperando di intercettare non solo il consenso di un elettorato di protesta fisiologico, ma anche il sostegno che può venirle dal maneggiare temi "infrequentabiii" (primo fra – tutti l’opposizione all’immigrazione extracomunitaria) su cui non può essere inseguita da concorrenti troppo bisognosi di rispettabilità. Certo, il ridotto insediamento geografico é una palla al piede, ma l’invenzione della Padania ha permesso di farne una bandiera e un simbolo di riconoscimento, in tempi nei quali l’immaginazione, da sempre potente risorsa della politica, scarseggia tanto a sinistra quanto a destra.

La propaganda, In politica, non sempre é credibiie: ma questo manifesto, che celebra un Bossi-guerriero impegnato contro I briganti Berlusconi, Fini e D’Alema, certamente lascia scettici sulla possibilità che fra la Lega e Il Polo possono instaurarsi nel breve periodo intensi rapporti di collaborazione Che, in questa situazione, Lega e Polo possano in contrarsi é poco probabile. Come si é visto nelle recenti elezioni provinciali e comunali, il Carroccio trae profitto dal non intrecciare rapporti preferenziali con i concorrenti: l’equidistanza gli consente di intascare i dividendi dell’ostilità fra Polo e Ulivo, incassando voti "contro". Inoltre, gli acciacchi del centrodestra rialzano la sua quotazione come sfidante del governo, e l’aperta sintonia con le attuali manifestazioni di disagio sociale, a partire dalla rivolta dei Cobas del latte, é chiaramente mirata ad accreditare il leghismo come oppositore sul campo di politiche che altri contrastano solo, o prevalentemente, nelle aule parlamentari. E anche l’argomento dell’indubbia connotazione "antisinistra" del simpatizzante me dio della Lega pesa, in quest’ottica, ben poco. Da un lato, chi ha scelto Bossi pur avendo a disposizione Fini o Berlusconi – specialmente nelle elezioni politiche dell’aprile 1996, a "tradimento" consumato e denunciato a gran voce – mostra di aver già compiuto una scelta di campo. Dall’altro, non vi é alcun motivo perchè, in un sistema tendenzialmente bipolare ma normalizzato dalla fine del venti di guerra fredda, l’elettorato che detesta la sinistra debba per forza accettare l’idea di raggrupparsi attorno al polo sistemico di destra. La situazione francese, dove il Front National sta consolidando la sua forza di elezione in elezione, ne é un evidente esempio: chi vota lepenista sa perfettamente che il suo voto impedirà a gollisti e giscardiani di battere socialisti e comunisti, ma non per questo cambia strada. L’awersione per il sistema, e per una forma di scrutinio che gli impedisce di avere una adeguata rappresentanza istituzionale (giustappunto quel maggioritario a doppio turno che si vorrebbe introdurre anche da noi), é più forte delle sirene che lo invitano a non "sprecare" il suo suffragio. Così, se in Italia ci si scandalizza dell’esistenza di due sinistre, nessuno oltralpe trova assurda la compresenza di tre destre, una delle quali armata contro le altre.

Dal loro punto di vista, le forze che compongono la coalizione di centrodestra dovrebbero tener conto di questo stato di fatto, se non vogliono logorarsi in operazioni di corteggiamento estenuanti e senza esito. Il problema tocca soprattutto Alleanza Nazionale.

Il vecchio Msi, tipico partito di protesta, avrebbe forse potuto con profitto, fra il 1992 e il 1993, ipotizzare una divisione geografica del lavoro con la Lega e puntare ad alcuni obiettivi comuni, ma oggi Ie cose stanno altrimenti. In una fase in cui la ricerca di legittimazione sembra essere diventata la sua maggiore preoccupazione (al punto di spingerla ad accontentarsi dei risultati ottenuti in Bicamerale invece di cavalcare il progetto di Costituente), An non sembra poter far concorrenza alla Lega nello spazio politico che quest’ultima si é scelta; ma deve fare anche attenzione a non spingere troppo oltre la sua polemica anti-Carroccio, per non far la figura del difensore ad oltranza di un sistema che, solo cinque anni fa, la sua attuale classe dirigente proclamava di voler affossare. Altrimenti, nella smania di coltivare il sogno di un "Polo Nord", finirà con il trovarsi un leghismo sui generis in casa, pronto ad esplodere in quel Meridione che l’oleografia missina degli anni Settanta e Ottanta si compiaceva di descrivere come una polveriera.

Marco Tarchi

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