Diorama

Mensile di attualità culturali e metapolitiche diretto da Marco Tarchi

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Uscire dal nichilismo

18 Luglio 2007 Redazione

    1. Uscire dal nichilismo
    2. Dopo la Riforma, che ha spezzato in due l’Europa cristiana, la religione ha perso la sua capacità d’integrazione sociale: per porre fine alle guerre di religione era necessario fare della fede una questione privata e nel contempo ergere la ragione comune a nuova base dell’esistenza collettiva. La modernità si é pertanto costituita attraverso la generalizzazione di una razionalità pratica che sopprime qualunque spessore normativa e sacrale, trasformando l’intera realtà, naturale e sociale, in sistema ipotetico di strumentalità: fondamentalmente, il motore della modernità é una razionalità strumentale assiologicamente neutra, ovvero indifferente ai valori e agli scopi, il cui corollario é la ripulsa di ogni concezione normativa del bene comune.

      Sforzandosi di imporre una visione non spirituale del la società la modernità ha di volta in volta interpretato la religione come alienazione sociale, sottomissione all’istituzione, prodotto consolatore dello spirito umano, o addirittura sintomo nevrotico. Ma tutti i concetti che ha messo al suo posto (progresso, nazione, umanità, razza, partito, ecc.) sono stati messi in crisi l’uno dopo l’altro. Il soggetto religioso é stato dissolto a vantaggio dei soggetto politico, che a sua volta si é dissolto in soggetto solitario. La fede nell’uomo ha sostituito la fede in Dio, ma producendo un’ancor maggiore incredulità, perchè non vi é nemico peggiore per l’uomo dell’uomo stesso. Non, si é mai potuto sacralizzare stabilmente l’elemento sociale, privandolo delle aperture verso l’invisibile. La modernità ha quindi fallito nel tentativo di rispondere alla predisposizione che spinge l’uomo verso ciò che eccede radicalmente la sua condizione.

      Riducendo la religione alla sfera privata, cioé trasformando tutte le credenze in altrettante opinioni – cosicchè la religione diventa, per chi ha delle "preoccupazioni spirituali", cioé dei problemi con l’assoluto, uno strumento per formulare opinioni sistematiche che permettano di risolverle -, la modernità ha spinto agli estremi il disincanto del mondo e suscitato un indifferentismo generalizzato. Questo indifferentismo, che non é un ateismo in senso classico bensì piuttosto un materialismo pratico, é una delle caratteristiche più evidenti di un nichilismo contemporaneo il cui estendersi produce uno smarrimento (la perdita dei "punti di riferimento") tanto più sensibile in quanto le strutture sociali portatrici di senso, a loro volta, scompaiono.

      Come reagisce il mondo di oggi a questo nichilismo? Le Chiese cristiane, che subiscono direttamente le conseguenze dell’individualismo, stanno perdendo presa e devono prendere atto di una straordinaria perdita di credibilità del dogma, nonchè di un significativo spostamento dell’esigenza morale sull’intera società a detrimento dell’imperativo etico individuale.

      I referenti cristiani non fanno più parte dello scenario, mentre ancora ieri la loro presenza si imponeva anche agli atei. (Non esiste più un presentatore di telegiornali che sappia che cosa si celebra nei giorni di Pentecoste o dell’Ascensione). Di fronte a una tale situazione, una minoranza di "tradizionalisti" si ripiega sul dogma, a rischio di tagliarsi fuori dal mon do, un’altra tenta di modernizzare la fede "riteologizzando" la secolarizzazione, una terza cerca di inventare nuove forme di fervore associativo (il solo pentecostismo conta oltre quaranta milioni di fede li nelle due Americhe). Questi tentativi non sono però sufficienti a restituire alla religione un ruolo sociale: le azioni che gli individui svolgono all’interno della società praticamente non sono più determinate dalle loro credenze.

      Nel frattempo, si assiste a una rinascita dei letteralismi, detti anche "integralismi" o "fondamentalismi", e alla moltiplicazione delle sette e dei "nuovi movimenti religiosi". I primi sono in genere reazioni istintive dinanzi a un mondo ritenuto ostile, ma possono essere anche il travestimento religioso di un desiderio d’identità o di una rivendicazione politica. I secondi esprimono un rovesciamento dell’individualismo nel suo contrario: si passa dalla negazione del sociale alla negazione di sè per assicurarsi il calore di un piccolo gruppo organizzato da un guru.

      Infine, al di là delle sette, si assiste al manifestarsi di una sorta di domanda spirituale frammentata, in cui ciascuno, rifiutando i dogmi e le forme istituzionali costituite, si compone una sorta di religione a piacimento, fatta dei prestiti più diversi, che si suppone possano contribuire ad un maggior benessere individuale e alla felicità spirituale. Quest’ultimo fenomeno é oggi forse quello più diffuso: da questo punto di vista, la secolarizzazione non ha ucciso la religione, ma ne ha fatte rinascere mille.

      Per descrivere questi fenomeni così diversi fra loro, – e ai quali occorrerebbe ancora aggiungere l’attrazione per le saggezze tradizionali non occidentali (il buddhismo é oggi la quarta religione della Francia), si é parlato certamente con eccessiva fretta di " ritorno alla religiosità". E’ comunque un dato sintomatico che questa cerca spirituale travalichi ampiamente i tre monoteismi e in taluni casi porti ad un incontro con ciò che esisteva prima del cristianesimo, o per sino con il desiderio di far rinascere ciò che quest’ul-

      pagina diciannove

      timo aveva tentato di far scomparire: lo spirito del paganesimo.

      La riapparizione di un referente pagano, oggi multiforme, é, beninteso, anch’essa ambigua. (il Rinascimento, che vide moltiplicarsi i riferimenti all’Antichità, fu anche il momento in cui lo spirito europeo si affrancò più completamente dallo spirito del paganesimo antico). Essa assume tuttavia un proprio senso quando si comprende che il processo di disincanto e di "neutralizzazione" del mondo generato dalla modernità corrisponde anche alla secolarizzazione di una certa visione cristiana del mondo. Non si tratta solo, a questo proposito, di riconoscere che, come ha detto Cari Schmitt, "tutti i concetti della teoria moderna dello Stato sono concetti teologici secolarizzati ", ma anche di rendersi conto che é stato il cristianesimo che, senza volerlo, – ha prodotto la modernità secolare laica grazie al disperarsi della sua logica interna di autonomizzazione del mondo nei confronti del divino " (Christophe Bourreux, in "Esprit", giugno 1997). Marcel Gauchet aveva, da questo punto di vista, perfettamente ragione nel presentare il cristianesimo come la "religione dell’uscita dalla religione".

      Il sorvolo dei due millenni trascorsi dimostra che il cristianesimo era potenzialmente foriero di nichilismo. Uscire dal nichilismo significa dunque uscire ad un tempo dalla concezione cristiana del mondo e dalla secolarizzazione cui essa ha condotto. E prima di tutto farla finita con l’idea agostiniana di una storia universale intesa come maturazione pedagogica dell’intero genere umano, che rimane ancor oggi la molla implicita dell’ideologia del progresso.

      Andrè Malraux non ha mai detto che il "XXI secolo sarà religioso o non sarà", ma ha detto invece che "il compito del prossimo secolo, di fronte alla più terribile minaccia che l’umanità abbia mai conosciu to, sarà quello di reinserirvi gli déi". La questione spirituale, da questo punto di vista, non é un "lusso" di cui si potrebbe fare a meno, per evitare dispute oziose o divisioni inutili. Essa si colloca nel cuore stesso degli interrogativi attuali, per il semplice motivo che non si può uscire dall’ideologia dominante senza ripudiare la matrice dalla quale quest’ultima é nata. Quanto al futuro, ci si può chiedere se la possibilità di un senso non risieda innanzitutto nella mi seria spirituale, nel modo in cui, attraverso questa miseria, si rivela la natura ambivalente del nichilismo, che é nel contempo decadenza totale e passaggio obbligato di una rinascita. E’ nota la parola di H¢lderlin: "é vicino e difficile da cogliere, il Dio. Ma là dove sta il pericolo, cresce anche ciò che salva". Nel libro Typus, Name, Gestalt, Ernst Juenger scrive: "Il ricorso al miti non basta più […]. Dobbiamo risalire molto al di là dei tipi mitici, é anche dei tipi tout court. Déi ed eroi non bastano più a dirottare il Destino".

      Alain de Benoist

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