DIORAMA

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L'era della post-verità - Editoriale dal n. 369 di Diorama

 È difficile, malgrado il tempo trascorso e la sua occupazione quasi totale dalle tematiche connesse a virus e vaccini, che qualcuno abbia scordato la popolarità mediatica raggiunta, fra il 2016 e il 2020, ...

È difficile, malgrado il tempo trascorso e la sua occupazione quasi totale dalle tematiche connesse a virus e vaccini, che qualcuno abbia scordato la popolarità mediatica raggiunta, fra il 2016 e il 2020, dall'espressione post-verità. Ascesa al rango di �parola dell'anno� per l'Oxford English Dictionary proprio nel 2016, essa seguì passo dopo passo l'intera avventura presidenziale di Donald Trump, dalla fase preparatoria della campagna per le primarie repubblicane sino al giorno in cui, malgrado la tumultuosa invasione di Capitol Hill, il tycoon dovette consegnare lo scettro del comando a Joe Biden.



Nell'insignire il neologismo dell'onorifico riconoscimento, i linguisti di Oxford tennero a chiarire che esso �si riferisce o denota circostanze nelle quali i fatti oggettivi sono meno influenti, nel plasmare la pubblica opinione, degli appelli all'emotività e alle credenze individuali�. Richiamando questa definizione nelle pagine del suo manuale Comunicazione politica. Un approccio teoricoi il politologo dell'Università di Pavia Flavio Chiapponi ricorda altre osservazioni che aiutano a precisare il contenuto della nozione collegata alla parola. Lee McIntyre, ad esempio, che le ha dedicato un intero libroii, ha chiarito che il prefisso post �è mirato ad indicare non tanto l'idea che la verità è �passata� in senso cronologico (come in �dopoguerra�), bensì nel senso che la verità si è eclissata � cioè che è irrilevante�. �Alla stessa maniera�, prosegue Chiapponi, �in vista della costruzione di una �teoria politica della post-verità�, Ignas Kalpokas asserisce che nell'ambito della post-truth politics �le narrazioni politiche (e non solo) esistono semplicemente senza avere una stretta relazione con una realtà di fondo � o, piuttosto, costituiscono semplicemente una realtà parallela di per sé�iii. Se le cose stanno così � e c'è ragione di crederlo, giacché dalle ricerche condotte emerge che molti sostenitori del Trump candidato alla presidenza sapevano che costui in campagna elettorale stava facendo un frequente uso di fake news, ma non ne erano preoccupati, perché ai loro occhi egli era �portatore di una retorica dell'autenticità � una nozione diversa dalla veritàiv �, se cioè (è ancora Chiapponi a parlare) �i fatti sono irrilevanti, ne viene che anche il loro svolgimento concreto non è importante� e �ci si può legittimamente porre questioni che riguardano le implicazioni per la correttezza e la libertà della partecipazione politica tenuta dai cittadini, nonché gli esiti che ne derivano�v.





Analisi impeccabile. Che però, ci pare, in sede tanto accademica che giornalistica, sembra essersi pressoché esaurita con l'uscita di Trump dalla Casa Bianca e tutt'al più riemerge quando ad essere posto sotto la lente d'ingrandimento delle ricerche e dei reportages è qualche esponente del fronte populista, di cui ci si sforza di demolire le tesi a colpi di fact checking, reali o presunti. Mentre è proprio nella fase che il mondo sta attualmente attraversando che l'impiego del concetto di post-truth politics sarebbe più facilmente individuabile e censurabile.





Da quando le truppe russe hanno attraversato i confini ucraini, il rapporto delle narrazioni politico-mediatiche con la realtà si è fatto sempre più flebile, fino, in molte occasioni, a scomparire. Senza che, ovviamente, ciò provocasse alcuna indignazione fra i professionisti dell'informazione, dal momento che proprio a loro spetta il compito di distogliere l'attenzione del pubblico dai fatti verificabili e verificati e di dirigerla verso una vulgata propagandistica preconfezionata, che nulla ha da invidiare a quella tanto irrisa delle �veline� dei regimi autoritari e totalitari.





Gli esempi per dimostrarlo sono innumerevoli, ed è difficile stilare una classifica di rilevanza fra le tante fake news che quotidianamente ci vengono propinate. Sforzandosi, forse la più clamorosa è quella che nega la cobelligeranza, nel conflitto russo-ucraino, dei paesi della Nato: una falsità che è stata più volte pronunciata da Mario Draghi e da tanti altri suoi colleghi europei, e che è smentita quotidianamente dalle notizie che le stesse agenzie istituzionali sono costrette a divulgare. Fornire armi pesanti ad una delle parti in campo, addestrarne militarmente le truppe (diecimila soldati all'anno in Gran Bretagna), ipotizzare � come ha fatto l'alto rappresentante per la politica estera dell'Unione europea Josep Borrell il 22 agosto � la creazione di una �missione di addestramento e assistenza all'esercito ucraino nei paesi vicini�, addirittura inviare militari sul campo di battaglia sono atti di piena partecipazione ad una guerra. Ma si ha ancora la faccia tosta di negarlo. Mentendo, come ha fatto la primo ministro neozelandese Jacinta Ardern, una delle figure-simbolo del �progressismo� mondiale, quando ha assicurato che il suo paese avrebbe fornito a Kiev solo assistenza indiretta per poi trovarsi di fronte alla notizia che uno dei suoi soldati era caduto sul fronte del Donbass. Fatto che, testimoniato dai corrispondenti di varie agenzie, dopo poche ore era scomparso dal web�





Praticare la politica della post-verità significa infatti, contemporaneamente, dare credito alle voci più improbabili e tacere tutte le notizie vere ma scomode.





Lo ha verificato, e ne ha fatto inopinatamente le spese, persino uno dei soggetti più venerati ed intoccabili della scena della political correctness, Amnesty International, paladina di tutte le cause in cui sono in gioco i �diritti dell'uomo� � anzi, correggiamoci: i �diritti umani�, perché la classica espressione potrebbe essere interpretata in declinazione maschile e attirare accuse di sessismo.





La colpa di Amnesty International è stata di scoprire, indagando sul terreno, che le vicende della guerra erano diverse, sotto vari aspetti, dal modo in cui venivano raccontate. La sua inchiesta sui bombardamenti russi effettuati da aprile in poi sui fronti meridionale (Mykolaiv) ed orientale l'ha portata a sostenere, in un rapporto datato 4 agosto, che �il fatto di trovarsi in posizione difensiva non dispensa l'esercito ucraino dal rispettare il diritto internazionale umanitario�. La segretaria generale dell'organizzazione, Agnès Callamard, presentando il documento, ha affermato che i civili ucraini sono stati messi in pericolo dall'installazione di basi militari in ospedali e scuole e dal lancio di contrattacchi da zone molto popolate, precisando che ciò era accaduto in 19 città e villaggi, per la maggior parte lontani dal fronte, esponendoli ai bombardamenti russi. Per di più, nessun ordine di evacuazione era stato dato ai civili, malgrado le segnalazioni della pericolosità fatta dalla stessa Amnesty al ministero della difesa di Kiev.





Senza tacere su azioni militari russe giudicate illegali, come l'uso di bombe a grappolo, i ricercatori di Amnesty hanno sottolineato che, in molti casi denunciati dalla stampa come attacchi ad edifici civili, erano state trovate in quei luoghi tracce della presenza di soldati e veicoli militari ucraini. In un passaggio del rapporto si precisa che �l'esercito ucraino colloca abitualmente le sue basi all'interno delle scuole dei villaggi e delle città del Donbass e della regione di Mykolaiv e che in 22 delle 29 scuole visitate sono stati trovati soldati o rinvenuto prove delle loro attività, in corso al momento della visita o precedenti: tenute da combattimento, contenitori di munizioni, razioni di cibo e veicoli militari�.





Sono bastate queste constatazioni a scatenare un putiferio: il capo della diplomazia di Kiev si è spinto al punto di insinuare che l'ong, tanto lodata quando si è battuta in favore di Navalny e di tutti gli altri dissidenti russi, partecipa �a una campagna di disinformazione e di propaganda� al servizio del Cremlino. E, pur senza arrivare a tanto, cancellerie e media del campo occidentale si sono immediatamente aggiunti al coro delle deplorazioni. Destra, sinistra, centro hanno, ancora una volta, sepolto ogni divergenza per portare acqua al mulino dell'omertà sui comportamenti incivili degli alleati ucraini e cancellare l'impressione che poteva essere sollevata dai fatti accertati con fiumi di parole indignate. Con il risultato che la responsabile ucraina di Amnesty ha accusato lo studio presentato di �essere diventato uno strumento della propaganda russa�, abbandonando l'organizzazione, e la centrale londinese dell'ong ha dovuto emettere un comunicato di �profondo rammarico per l'angoscia e la rabbia che ha causato il nostro comunicato stampa sulle tattiche di combattimento dell'esercito ucraino�.





A questa esemplare censura se ne sono aggiunte, in questi mesi, infinite altre: la più recente, mentre scriviamo, le reazioni ucraine alla deplorazione dell'attentato costato la morte a Darya Dugina fatta in udienza da Papa Francesco, che ha avuto l'ardire di definire la vittima �una povera ragazza innocente�. Verità insopportabile per chi interpreta la guerra in corso come l'Armageddon tra il Bene e il Male assoluti e persino dall'uccisione della donna ha tratto spunto per favoleggiare sulla figura del padre (fantomatico �consigliere� o �ideologo� di Putin: affermazione lontana mille miglia dalla realtà).





Omertà, censura, ma anche e soprattutto falsità sono l'ingrediente di questa ennesima campagna dei corifei dell'atlantismo. Che non battono ciglio quando Zelensky, più attore che mai, sostiene che �i russi occupano politicamente l'Unione europea� o vaneggia sulla riconquista della Crimea ed alimentano la sagra delle fake news scrivendo sulle pagine dei quotidiani più diffusi o proclamando nei salotti televisivi ormai occupati a tempo pieno che �i russi stanno esercitando pressioni sul voto italiano� (frase che, fra l'altro, è priva di senso: se ci si riferisce agli elettori, si spieghi come e dove gli agenti putiniani starebbero svolgendo questa missione), che �Putin vuole il nostro mare� (prima pagina del �Corriere della Sera�, forse il più servile fra tutti gli organi di stampa di ampia diffusione italiani, del 25 agosto), o che sono i russi a bombardare la centrale nucleare di Zaporija, dove peraltro � si sostiene contemporaneamente � hanno insediato truppe e materiale militare (col che, nasce una nuova teoria strategica: autoinfliggersi danni letali in luoghi critici). Il tutto mentre, deplorando quotidianamente le vittime civili ucraine, si continua a non ricordare che Zelenski, con i suoi roboanti annunci di somministrazioni di armi a tutti i cittadini, ha fatto di costoro il più ovvio dei bersagli per il nemico.





Sì, non c'è dubbio: stiamo vivendo in pieno una nuova fase dell'epoca in cui la politica della post verità si è fatta predominante. Il problema è che, questa volta, non sono in gioco gli esiti di una kermesse elettorale al di là dell'oceano Atlantico. Con questa cinica, e per più di un verso folle, campagna di falsificazione della realtà, l'Europa, come sempre prona ai voleri del Grande Fratello a stelle e strisce, ha gettato le basi di un'irreparabile inimicizia con la grande potenza collocata sui suoi confini orientali, e con altre potenze che le sono e/o le saranno alleate. Altro che un'Ucraina �che difende la nostra libertà�, come ha avuto la sfrontatezza di dire uno dei peggiori esponenti della politica italiana. Questa Ucraina, e chi la spalleggia, rischia di portare l'Europa verso la più grave catastrofe della sua storia.





Marco Tarchi





i Mondadori Università, Milano 2020.





ii Lee McIntyre, Post verità, Utet, Torino 2018.





iii Flavio Chiapponi, op. cit., pag. 304. La citazione è tratta da Ignas Kalpokas, A Political Theory of Post-Truth, Palgrave, London 2018, pag. 13.





iv Flavio Chiapponi, ivi. Qui il riferimento è a Martin Montgomery, Post-truth politics? Autenticity, populism and the electoral discourses of Donald Trump, in �Journal of Language and Politics�, XVI, 4, 2017, pagg. 619-639.





v Flavio Chiapponi, ivi.






Autore: Marco Tarchi
Foto:
Rivista: diorama 369
Fonte: https://
Data pubblicazione: 3 dicembre 2022

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